Più che una constatazione, è un accorato avvertimento. A lanciarlo, dalle pagine di Haaretz, è una delle firme che in questi tragici mesi di guerra, le lettrici e i lettori di Globalist hanno imparato a conoscere e, ne sono convinto, ad apprezzare: Hanin Majadli.
Scrive Majadli: “Mentre mi riparo da una raffica di missili iraniani in un parcheggio sotterraneo, mi siedo e rifletto sul fatto che gli anni della mia vita stanno andando sprecati a causa delle guerre di Israele, guerre che non mi riguardano affatto. Mi chiedo se un giorno le provocazioni di Israele, le sue azioni sconsiderate, mi porteranno alla fine. Sarebbe una triste ironia.
Dal 7 ottobre 2023, Israele ha abbandonato la dottrina della deterrenza, un tempo nota come “Muro di ferro”, a favore di qualcosa di molto più pericoloso: una mentalità di distruzione e annientamento.
Forse quell’impulso è sempre stato lì, sepolto sotto la superficie, ma ora è venuto a galla ed è esplicito. Non si tratta solo di un cambiamento tattico, ma di una profonda trasformazione della coscienza, della visione del mondo e forse anche della psiche collettiva, ferita e segnata.
A che punto Israele ha smesso di parlare di contenimento e deterrenza e ha iniziato a parlare invece di annientamento? Quando l’obiettivo è passato dalla sicurezza all’eliminazione dell’altro, alla negazione della sua esistenza, delle sue istituzioni e persino del suo diritto di esistere come nemico?
Secondo questa logica, tutto ciò che offende gli israeliani – che si tratti di una stazione televisiva, di un’università, di un quartiere residenziale o di una stazione di servizio – diventa un obiettivo legittimo da distruggere. È così che sono state bombardate le università di Gaza e Teheran, e sono stati uccisi scienziati, giornalisti, artisti e scrittori. Israele non si limita più agli obiettivi militari, ma distrugge le condizioni stesse che sostengono la vita e la possibilità di ricostruire.
Tutto questo viene fatto in nome dell'”autodifesa”. Ma non si tratta più di una risposta a una minaccia concreta, bensì di un’offensiva guidata da una visione del mondo senza freni, priva di limiti morali, legali o persino pragmatici. Israele mira a essere l’unica potenza dominante in Medio Oriente. Se il diritto internazionale avesse ancora un peso reale, Israele lo violerebbe ripetutamente a Gaza, in Libano, in Siria e in Iran. Tanto che, con ogni attacco, sta segando il ramo su cui poggia l’idea stessa di diritto internazionale.
Israele rivendica il diritto di violare, colpire e bombardare ripetutamente anche chi non rappresenta più una minaccia immediata. La distruzione in corso di Gaza non fa che confermare questo messaggio. Tutto ciò crea un precedente pericoloso con implicazioni di vasta portata: cosa potranno permettersi di fare le altre nazioni nelle loro guerre? Quali sono i limiti oltre i quali ciò che è permesso diventa inaccettabile? E cosa succederà quando altri Stati adotteranno la stessa logica israeliana nei confronti dei loro nemici? Una catastrofe.
E gli israeliani stessi? Fin dalla sua fondazione, e ancora di più dal 7 ottobre 2023, Israele ha coltivato una mentalità nazionale in cui la sopravvivenza ebraica sembra dipendere dalla distruzione dell’altro. Cosa farebbero gli israeliani se altri paesi si prendessero le stesse libertà che Israele si prende? Il linguaggio, le dichiarazioni, il tono dei politici, dei giornalisti e dei cittadini rivelano tutti la stessa cosa: non c’è cura. Gli israeliani sono ciechi, prigionieri e incitati.
E forse la cosa più spaventosa è che questa logica non sembra più estrema, ma è diventata la norma; che la società israeliana, con le sue istituzioni, i suoi consiglieri, i suoi giornalisti, i suoi genitori e i suoi figli, ha imparato a pensare in questo modo. Il linguaggio stesso è cambiato e i bambini israeliani cresceranno immersi in esso, ignari dell’esistenza di un’altra strada.
Le norme che Israele sta consolidando attraverso la sua condotta militare aggressiva scuoteranno non solo la regione, ma il mondo intero per molti anni a venire”
Netanyahu ha persino distorto la percezione della realtà dei suoi avversari quando si parla della guerra tra Israele e Iran.
Globalist lo ha raccontato, documentato, da anni, molto prima del 7 ottobre 2023 e del genocidio che ne è seguito: la vittoria della destra estrema, messianica, israeliana prima che politico-elettorale è stato culturale-identitario.
In questa convinzione ci viene di aiuto un’altra delle firme più autorevoli del quotidiano progressista di Tel Aviv: Carolina Landsmann.
Rimarca Landsmann: “Proprio come l’attacco a sorpresa di Hamas contro Israele mirava a vanificare la normalizzazione tra Israele e l’Arabia Saudita che non teneva conto della questione palestinese, l’attacco a sorpresa di Israele contro l’Iran mirava a ostacolare un altro tentativo di mediazione americano. Stavolta è sotto il presidente Donald Trump e mira a fermare la nuclearizzazione dell’Iran senza dover ricorrere alla guerra. In questo senso, il primo ministro Benjamin Netanyahu e Hamas – soprattutto dopo la notizia della morte di Yahya Sinwar – sembrano gemelli strategici, ognuno con il proprio asse di resistenza.
C’è un vecchio detto: le persone non vedono il mondo per quello che è, ma per quello che sono. Netanyahu vede il mondo attraverso il prisma dell’accordo di Monaco del 1938 tra l’Occidente e la Germania nazista e si percepisce nel ruolo di Winston Churchill, colui che ha compreso Hitler prima che fosse troppo tardi.
Si tratta di una mentalità che va contro il tempo e la diplomazia. Quest’ultima è sempre vista come un inganno pericoloso. Secondo Netanyahu, non deve essere come Neville Chamberlain, che firmò l’accordo di Monaco; deve risolvere il problema prima che si verifichi un disastro. Per lui, la diplomazia è come una droga da stupro.
Questo modo di pensare non lascia spazio ai nemici per diventare partner e raggiungere la pace. E infatti Netanyahu non ha mai fatto pace con un nemico. Gli Accordi di Abramo non sono stati firmati con Stati nemici, ma solo grazie ai precedenti trattati di pace con l’Egitto e la Giordania, nessuno dei quali avrebbe potuto essere raggiunto senza gli Accordi di Oslo.
Non ha mai fatto il salto di fede necessario per trasformare un nemico in un alleato per la pace. Imprigionato nella sua gabbia di Monaco, Netanyahu non è in grado di fare questo passo.
Per lui, la diplomazia è una trappola. Per lui, solo il terrorismo è in linea con la sua visione della realtà. Ogni altra situazione è vista come un’illusione destinata a svanire e le sue azioni sono pensate per assicurarsi che sia così. E ciò che è altrettanto preoccupante è che è riuscito a contagiare tutti noi con questa mentalità.
Questa guerra è la giustificazione fondamentale della sua permanenza al governo. Netanyahu ha molti nemici, ma non ha veri avversari, nessuna figura politica che rifiuti la sua visione del mondo. Siamo tutti intrappolati a Monaco con lui. L’unico dibattito è su che ora impostare la sveglia per svegliarci presto e uccidere chi vuole ucciderci.
Attualmente in Israele c’è una coalizione stabile che comprende quasi tutti i membri ebrei della Knesset. Il fatto che i manifestanti anti-Netanyahu si siano precipitati ai loro posti di comando appena è iniziata la guerra è la verità distillata della politica israeliana.
Se avessero davvero creduto a quello che dicono di Netanyahu, non si sarebbero precipitati ai loro posti di comando. Le loro gambe avrebbero rifiutato di obbedire al loro cervello. Eppure, non l’hanno fatto. Perché, anche se lo odiano e pensano che sia un bugiardo, un incitatore corrotto e un nemico della democrazia che sta abbandonando gli ostaggi, non pensano che abbia torto. Credono a quello che dice al mondo.
Forse non gli credono, ma vedono la realtà attraverso i suoi occhi. La sua sopravvivenza politica si basa su questa fede intima che esiste al di sotto dell’odio.
Soddisfare la sua ossessione per l’Iran lo tranquillizzerebbe? L’eliminazione del leader supremo iraniano Ali Khamenei lo tranquillizzerebbe? O non sorgerebbe invece immediatamente un nuovo “Hitler dei giorni nostri”? Non è un caso che l’espressione massima della difesa israeliana sia la distruzione della “testa del serpente”, che continua a rigenerarsi proprio come la pelle di un vero serpente: Sinwar, Hassan Nasrallah, Khamenei.
Netanyahu non reagisce agli eventi, ma ne determina l’andamento. È un ingegnere intrappolato in una mentalità che ne detta ogni passo. Non si tratta di un’interpretazione psicologica, ma di una tesi fondamentale che spiega le sue azioni e il consenso che ha imposto.
Questo è il potere di Netanyahu: è riuscito a plasmare la coscienza politica di un’intera generazione. Anche i suoi rivali operano all’interno della sua visione concettuale del mondo, dei timori che ha espresso e del linguaggio che ha creato. Lo odiano, ma non sono riusciti a liberarsi dal suo modo di pensare. E questo potrebbe essere il suo più grande successo, molto più grande di qualsiasi vittoria elettorale”, conclude Landsmann.
Le cose stanno proprio così. Israele forse riuscirà a liberarsi di Netanyahu, ma resterà a lungo segnata e orientata dal “bibiismo”. Da un regime di Netanyahu senza Netanyahu.
Unicef: a Gaza più di 5.000 bambini diagnosticata malnutrizione a maggio.
“Il numero di bambini malnutriti nella Striscia di Gaza sta aumentando ad un ritmo allarmante, con 5.119 bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 5 anni che hanno avuto accesso a cure relative alla malnutrizione acuta nel solo mese di maggio.
Secondo i dati ricevuti dai centri nutrizionali sostenuti dall’Unicef in tutta la Striscia di Gaza, questo rappresenta un aumento di quasi il 50% rispetto ai 3.444 bambini che hanno avuto accesso a cure ad aprile 2025 e un aumento del 150% rispetto a febbraio, quando era in vigore il cessate il fuoco e gli aiuti stavano entrando nella Striscia di Gaza in quantità significative.
Dei 5.119 bambini che hanno avuto accesso alle cure a maggio, 636 soffrivano di malnutrizione acuta grave (SAM), la forma più letale di malnutrizione. Questi bambini hanno bisogno di cure costanti e controllate, di acqua sicura e di assistenza medica per sopravvivere, tutte cose che oggi scarseggiano sempre più a Gaza. Il numero di bambini colpiti da SAM è aumentato del 146% da febbraio.
“Nella Striscia di Gaza in soli 150 giorni, dall’inizio dell’anno alla fine di maggio, 16.736 bambini – una media di 112 al giorno – hanno avuto accesso alle cure riguardanti la malnutrizione”, ha dichiarato Edouard Beigbeder, Direttore regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa. “Ognuno di questi casi era prevenibile. Il cibo, l’acqua e i trattamenti nutrizionali di cui hanno disperatamente bisogno sono bloccati. Le decisioni prese dall’uomo stanno costando vite umane. Israele deve urgentemente consentire la consegna su larga scala di aiuti salvavita attraverso tutti i valichi di frontiera”.
Se la situazione non cambia immediatamente, l’UNICEF avverte che i casi di malnutrizione acuta continueranno ad aumentare nelle prossime settimane e potrebbero raggiungere il livello più alto dall’inizio del conflitto. Tutto ciò sta avvenendo in una popolazione di bambini in cui il deperimento era inesistente 20 mesi fa.
L’Unicef è riuscito a consegnare centinaia di bancali di aiuti per prevenire e curare la malnutrizione nelle ultime tre settimane, ma queste forniture sono del tutto inadeguate e insufficienti rispetto alle enormi necessità e al contesto più ampio. La quantità di cibo terapeutico pronto all’uso (RUTF), un alimento essenziale per la vita dei bambini che soffrono di malnutrizione acuta, si sta esaurendo in modo critico.
Il conflitto ha danneggiato o distrutto i sistemi idrici, igienico-sanitari essenziali nella Striscia di Gaza e ha limitato la capacità di curare la malnutrizione grave, con appena 127 dei 236 centri di cura rimasti funzionanti, a causa degli ordini di sfollamento e dei bombardamenti incessanti.
Nel frattempo, le Nazioni Unite sono sul punto di esaurire il carburante. Dalla fine del cessate il fuoco, alla comunità umanitaria è stata ripetutamente negata la possibilità di portare nuove scorte o di accedere a quelle esistenti all’interno di Gaza.
Questo ha conseguenze dirette sui bambini e sulle loro famiglie, perché senza carburante i servizi essenziali come la produzione di acqua e i servizi sanitari dovranno fermarsi o utilizzare acqua non sicura. La diarrea acquosa acuta rappresenta già 1 caso di malattia su 4 registrato a Gaza e si sospettano casi di epatite A, altamente infettiva e rapidamente letale. Con il riscaldamento del clima nelle prossime settimane, la situazione è destinata a peggiorare.
Se non trattate insieme, la malnutrizione e le malattie creano un circolo vizioso mortale. È dimostrato che i bambini con una cattiva alimentazione sono più vulnerabili a malattie gravi come la diarrea acuta; la diarrea acuta e prolungata aggrava notevolmente le cattive condizioni di salute e la malnutrizione nei bambini, esponendoli ad elevato rischio di morte.
“Questo è un allarme improrogabile. È necessaria un’azione concertata per impedire che la fame si aggravi, che la malnutrizione aumenti, che le malattie si diffondano, che l’acqua si prosciughi e, in ultima analisi, per prevenire l’aumento della mortalità infantile, del tutto evitabile”, ha dichiarato Beigbeder. “Gli aiuti umanitari e i beni commerciali devono poter entrare da tutti i valichi disponibili ed essere consegnati in modo rapido, sicuro e dignitoso alle famiglie bisognose, ovunque esse si trovino”.
L’Unicef esorta ancora una volta tutte le parti in conflitto a porre fine alle violenze, a proteggere i civili, compresi i bambini, a rispettare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani, a consentire l’immediata fornitura di aiuti umanitari e a rilasciare tutti gli ostaggi”.
Con la Palestina nel cuore. Perché la guerra all’Iran non oscuri il genocidio di Gaza.
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