Agricoltori, allevatori, albergatori e ristoratori avevano tirato un sospiro di sollievo la scorsa settimana, quando il presidente Donald Trump ha ordinato una pausa nei raid migratori che stavano colpendo duramente questi settori e spaventando i lavoratori stranieri.
«Finalmente si era creata un po’ di calma», ha detto Rebecca Shi, direttrice esecutiva della American Business Immigration Coalition.
Ma la tregua è durata poco. Mercoledì, Tricia McLaughlin, assistente segretaria del Dipartimento per la Sicurezza Interna, ha dichiarato: «Non ci saranno zone franche per le industrie che proteggono criminali violenti o cercano deliberatamente di ostacolare l’applicazione delle leggi sull’immigrazione. I controlli nei luoghi di lavoro restano un pilastro dei nostri sforzi per garantire la sicurezza pubblica, la stabilità economica e la sicurezza nazionale».
Il repentino cambiamento ha spiazzato le imprese, lasciandole nell’incertezza sulle reali intenzioni del governo. «Ora è tornata la paura», ha detto Shi. «Non si può gestire un’attività quando i dipendenti vivono con questo livello di stress e trauma».
Nel frattempo, nei campi di Oxnard, in California, alcuni braccianti continuano a lavorare sotto temperature elevate, mentre altri si fermano per la stanchezza e la paura. L’inasprimento dei controlli è arrivato dopo che Stephen Miller, vice capo dello staff della Casa Bianca, ha imposto a ICE un nuovo obiettivo: 3.000 arresti al giorno, contro i 650 giornalieri dei primi mesi del secondo mandato di Trump.
«Abbiamo visto agenti dell’ICE nelle fattorie, puntare fucili d’assalto alle mucche e portare via metà della forza lavoro», ha raccontato Shi, la cui coalizione rappresenta 1.700 datori di lavoro e sostiene l’aumento dell’immigrazione legale.
Una delle retate ha lasciato una fattoria del New Mexico con appena 20 dipendenti, rispetto ai 55 abituali. «Non puoi spegnere una mucca», ha commentato Beverly Idsinga, direttrice esecutiva dei produttori lattiero-caseari del New Mexico. «Vanno munte e nutrite due volte al giorno».
Anche nei ristoranti si avverte la tensione. Claudio Gonzalez, chef del ristorante Izakaya Gazen a Los Angeles, ha raccontato che molti dei suoi dipendenti ispanici — indipendentemente dal loro status legale — hanno iniziato a disertare il lavoro per paura dei controlli. Il locale si trova a pochi isolati da un centro di detenzione ICE. «Hanno paura di lavorare. Pensano che li si perseguiti solo per il colore della pelle», ha detto Gonzalez.
In altri casi, più che i controlli reali è il timore di possibili retate a tenere lontani i lavoratori. Nello stato di Washington, durante la raccolta delle ciliegie, molti lavoratori stranieri sono rimasti a casa a causa di voci su possibili blitz. Un’azienda che normalmente impiega 150 raccoglitori ne ha trovati solo 20. «Di retate vere non ne abbiamo viste», ha detto Jon Folden, responsabile dei frutteti della cooperativa Blue Bird. «Abbiamo sentito solo tante voci».
Jennie Murray, direttrice del National Immigration Forum, ha spiegato che molti genitori immigrati temono di essere arrestati mentre i figli sono a scuola. «Si chiedono: se vado a lavorare, mio figlio che torna in bus troverà qualcuno ad aspettarlo? Forse è meglio che non vada», ha raccontato.
Giovedì scorso, Trump ha pubblicato su Truth Social un messaggio in cui riconosceva che gli agricoltori e gli operatori del settore alberghiero stavano perdendo lavoratori esperti e difficili da sostituire a causa della linea dura sull’immigrazione.
Si tratta dell’ennesimo scontro tra la retorica politica e la realtà economica. Con un tasso di disoccupazione al 4,2%, molte imprese sono in difficoltà a trovare manodopera e fanno affidamento sugli immigrati.
Secondo l’U.S. Census Bureau, nel 2023 i lavoratori nati all’estero rappresentavano meno del 19% degli occupati negli Stati Uniti, ma arrivavano a quasi il 24% nel settore della ristorazione e al 38% in agricoltura, pesca e silvicoltura.
«È evidente che chi invoca questi raid non ha idea di come funziona una fattoria», ha commentato Matt Teagarden, direttore dell’associazione degli allevatori del Kansas.
Torsten Slok, capo economista di Apollo Global Management, ha stimato che i lavoratori senza documenti rappresentano il 13% dell’occupazione agricola e il 7% di quella nella ristorazione e nel settore alberghiero.
Secondo il Pew Research Center, il 75% degli elettori registrati — inclusi il 59% dei sostenitori di Trump — ritiene che gli immigrati senza documenti svolgano lavori che gli statunitensi non vogliono fare. L’ondata migratoria tra il 2022 e il 2023 ha inoltre permesso agli Stati Uniti di contenere l’inflazione evitando la recessione.
Tradizionalmente, gli economisti ritenevano che l’economia americana potesse creare al massimo 100.000 posti di lavoro al mese senza provocare inflazione. Ma un’analisi della Brookings Institution ha rilevato che, grazie all’immigrazione, oggi il ritmo sostenibile è salito tra i 160.000 e i 200.000 nuovi posti mensili.
I piani di espulsione voluti da Trump — e l’incertezza che li circonda — stanno ora pesando sulle imprese e sull’economia.
«Una parte importante del nostro settore dipende dal lavoro degli immigrati: persone qualificate e affidabili che lavorano con noi da anni. Le retate improvvise rallentano i cantieri, fanno aumentare i costi e rendono impossibile pianificare», ha spiegato Patrick Murphy, direttore investimenti della Coastal Construction in Florida ed ex deputato democratico. «Ogni mese non sappiamo quali regole varranno. L’incertezza rende tutto più difficile».
Douglas Holtz-Eakin, ex direttore del Congressional Budget Office e ora presidente del think tank conservatore American Action Forum, ha aggiunto: «ICE ha arrestato anche persone in regola, e ora anche gli immigrati legali hanno paura ad andare a lavorare. Tutto ciò va contro gli obiettivi economici dell’amministrazione. Le politiche sull’immigrazione e quelle economiche non stanno affatto andando nella stessa direzione».
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