Trump, Dio, patria, famiglia: come la crisi del dialogo ha consegnato i poveri alle nuove destre identitarie

Siamo davanti a una novità. Che il genere umano si sia sovente trovato davanti a strade diverse e che abbia valutato diverse ricette per fronteggiare i problemi del suo tempo è assodato: è sempre stato così.

Trump, Dio, patria, famiglia: come la crisi del dialogo ha consegnato i poveri alle nuove destre identitarie
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

26 Giugno 2025 - 13.25


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Siamo davanti a una novità. Che il genere umano si sia sovente trovato davanti a strade diverse e che abbia valutato diverse ricette per fronteggiare i problemi del suo tempo è assodato: è sempre stato così. Ma oggi non si tratta di questo, per molti siamo usciti da una dialettica comprensibile, siamo cioè davanti a una fuga dall’ammissibile nel campo delle umane diversità. Se volessimo fare l’elenco di ciò che lascia molti basiti dell’amministrazione Trump avremmo bisogno di testi enciclopedici. E il discorso non riguarda solo Trump, ma tutti i soggetti politici che oggi appaiono prevalenti. Cosa succede? E’ difficile dirlo, ma non si può rinunciare allo sforzo di cercare di orientarsi, e tentare di capire. 

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E’ sempre sbagliato fare di ogni erba un fascio, ma se guardiamo alle tendenze politico-culturali in atto vediamo chiaramente che una tendenza molto importante è la trasformazione in minoranze delle comunità “credenti”, non ovunque, ma in gran parte del mondo.  Togliamo dal nostro discorso la Cina, dove la religiosità è per noi difficilmente rilevabile nel discorso pubblico:  i credenti si vanno percependo come una minoranza in modo sempre più evidente, per loro drammatico. Chi ha espresso il nuovo corso globale meglio di chiunque altro, nel senso della trasparenza oggettiva delle sue parole, è stato il patriarca russo Kirill, che sapeva certamente di una riemergente secolarizzazione anche in Russia e ha parlato della necessità di una guerra metafisica tra il “bene”, la vera fede, e la secolarizzazione che elimina Dio dal nostro orizzonte, nel caso di specie lui parlava della guerra in Ucraina. Per lui la guerra non derivava dall’espansione della Nato a est, ma dalla secolarizzazione occidentalista di una parte fondante dello spazio russo, l’Ucraina. Ecco a suo avviso la necessità di combattere l’espansione della depravazione occidentale, da lui esemplificata con l’arrivo a Kiev dei Gay Pride: qui il patriarca Kirill ha indicato una lotta per la vita o la morte tra il bene e il male. Il discorso però non riguarda solo lui. 

Questo tipo di  mondo credente si trova in molte altri parti del mondo e in tutte queste è risultato terrorizzato dal diventare influente, dal vedere Dio cancellato dall’orizzonte della loro vita nazionale. A questo mondo ha parlato un politico, non proprio un devoto nella sua quotidianità, Donald Trump, e gli ha detto chiaramente “eleggete me e vi farò tornare decisivi”. Basti per tutti l’esempio di un condannato per aver impedito con sistemi “convincenti” che la legge sull’aborto venisse praticata; Trump ne ha chiesta la liberazione parlando di “persecuzione religiosa”. 

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In tante macro aree la religione diviene elemento che si teme sconfitto, in crisi per la perdita di consensi divenuta sempre più evidente, Trump (e Putin) sono i leader che ne hanno fatto una bandiera anche se ciò comportasse un rischio antidemocratico: “ noi difendiamo la fede per salvare la presenza di Dio come noi lo sappiamo nelle verità proprie della nostra nazione”. Hanno idea di cosa significhi il vocabolo “Dio”? Non lo so, ma i segmenti terrorizzati di mondo credente si sono aggrappati alla visione dei leader, li hanno riconosciuti come ultimi baluardi  dei loro valori. Qui sopraggiunge il discorso sul campo opposto: appare in molto contesti ampio, forse maggioritario, ma privo di collanti politici. 

Il campo “secolarizzato” non ha un’idea di “nazione” da proporre ed è parso incline all’illusione che stesse nascendo “un uomo universale”, prodotto della globalizzazione che leggeva con lenti ideologiche. Questo uomo universale che hanno intravisto  vorrebbe vivere ovunque con la stessa felicità, la stessa libertà, senza perdere tempo con religioni oppressive. C’era del vero? Forse sì, non è questo il punto, ma si è vista di certo emergere una globalizzazione di successo nei costumi, nei consumi, nel tipo di negozi che diventano sempre più gli stessi in tutto il mondo. Questo ha indotto certi secolarizzati a ritenersi maggioranza e quindi autosufficienti, senza necessità di dialogo con i settori interessati all’incontro dei mondi credenti. Alla base si è visto un discorso ideologico che non ha però fatto i conti con la materialità della globalizzazione, che non realizzava l’illusione illuminista della felicità uguale per tutti in tutto il mondo, ma portava in Occidente nuove povertà per via del paradigma tecnocratico e nuove povertà nel terzo mondo, sempre per via del paradigma tecnocratico che qui diventava schiavitù e sfruttamento selvaggio di risorse sempre più irrinunciabili per i nuovi prodotti globali, come i telefonini. 

Chi ha tentato di evitare il cortocircuito, salvando la religiosità, l’amicizia sociale, il dialogo tra laici e credenti  e la diversità umana, è stato papa Francesco. Lui ha implorato i globalisti di riconoscere che siamo uguali, certo, ma perché siamo diversi, e che bisognava tutelare queste diversità, unendole non nella globalizzazione piatta, ma in quella poliedrica, che quindi vede diversità e quindi la difesa della dignità di ognuno.

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Ovviamente non è stato ascoltato e pur ritenendo di perseguire un’agenda di giustizia sociale, questo mondo “globale e secolarizzato” ha perso contatto con le “masse povere” delle varie società perché è stato percepito come elitario, attento solo ai diritti individuali, meno a quelli sociali: il paradigma teocratico magari era espressione più dell’altro campo, ma veniva imputato al globalizzante globalismo secolarizzato. Il mondo secolarizzato o globalizzante è apparso benestante, borghese, senza motori sociali mobilitanti. E così l’altro campo gli ha imputato un etilismo individualista. Il confronto si è fatto  impari; i secolarizzati hanno radicalizzato sempre più la loro agenda nel tentativo di imbarcare altre minoranze sul loro traballante carro politico, ma la questione sociale è troppo forte e non teme di identificarsi con chi parla di nazione, perché quella è la sua nazione e la sua difesa è apparsa anche la difesa del proprio spazio, del proprio lavoro. Ecco che “Dio, patria, famiglia” sa divenire una triade imbattibile, per le molle che unisce: Dio parla del nuovo potere che i credenti che si sente assediati vogliono difendere, per salvare il mondo dal diventare un mondo contro Dio, senza esitazioni o rispetti galanti degli “altri”. Patria è il luogo messianico dove i poveri ritroveranno centralità, mentre i secolarizzati senza patria non hanno nulla da dire al riguardo, identificati con una globalizzazione che serve l’ipotetica borghesia transnazionale. Famiglia infine è il luogo dove il potere divino e il potere terrestre si abbracciano: “limitiamo lo sguardo ai nostri cari più vicini, non inseguiamo la follia globalizzante che ci lascia senza amici, senza tutele, in balie delle onde”. 

E’ così che la maggioranza scompare, non ha più peso: i secolarizzati probabilmente se bisognasse definirsi sarebbero maggioranze, ma una maggioranza senza capacità di dialogo con i mondo religiosi e con quei segmenti della propria base che chiede un agenda che li tuteli nel nuovo spazio dove ognuno si sente abbandonato, solo, tradito. I nuovi poveri così scelgono sempre più spesso l’agenda delle nuove destre: forse se invece di radicalizzarsi avessero scelto di dialogare con gli ambienti religiosi più aperti, i secolarizzati non si sarebbero persi nei nazionalismi aggrappati alle intransigenze credenti.  

Le guerre confermano agli occhi dei nuovi poveri che il mondo globalizzato non esiste, esiste lo scontro di civiltà, masse di migranti che vengono o vanno a insidiare il loro esausto ruolo sociale e che quindi vanno respinti mentre le elite della globalità li difendono, perché loro non hanno patria, non hanno famiglia, e ovviamente non hanno Dio. Ecco allora che Dio diventa un simbolo nazionalista, escludente, identitarista.

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Aver perso di vista la necessità del dialogo e la nuova “lotta sociale” non ha fatto bene a chi non ama il trend prevalente. 

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