Cominciamo con due prove di fatto, voglio dire queste non sono opinioni, ma realtà. Innanzitutto, a Gaza, ai giornalisti stranieri, occidentali o meno, è vietato entrare indipendentemente da Israele, cioè Israele rende impossibile l’informazione non di parte. Pertanto Israele rivendica univocità o segretezza ed è, di per sé, una condanna di Israele da parte di Israele stesso.
Poi, è l’intera popolazione di Gaza che dipende dagli aiuti umanitari, cioè circa due milioni di persone. Ovviamente non c’è modo di vivere per nessuno (tranne i membri della mafia locale che Israele oggi pretende di pagarli, presumibilmente contro Hamas). Ricordiamoci che oggi, invece, tra l’80 e il 70% del parco immobiliare del territorio viene distrutto, e che la fluttuazione tra questi numeri si basa su quello che viene chiamato “distrutto”: se l’edificio è piatto a terra, in rovina, o se è ancora in piedi, ma che sia ridotto a pietre svolazzanti, sapendo che non c’è elettricità e acqua al di fuori della buona, o cattiva volontà israeliana.
Poi per come va la distribuzione di cibo, una volta che tutte le organizzazioni internazionali accusate di essere infiltrate da Hamas, sono state cacciate. Sono realizzate da una società privata americana, la GHF, che si apprende è stabilita in Svizzera; essa non soddisfa nemmeno i requisiti deboli delle leggi svizzere, e che non hanno conti finanziari in Svizzera, relazioni finanziarie o organi di revisione contabile. A quanto pare questa organizzazione è semplicemente un ufficio della CIA, i suoi due fondatori, americani, sono paramilitari di estrema destra, collegati agli uffici di Trump e Kushner.
In sintesi, il GHF non è un’organizzazione umanitaria, ma un’organizzazione di polizia militare, che suggella il fatto che questa guerra – se la chiamiamo “guerra” quello che sta accadendo oggi a Gaza – è una guerra congiunta guidata da due alleati, USA e Israele.
Il territorio della striscia di Gaza è oggi circondato da settori diventati impenetrabili tra loro. Cioè, l’esercito israeliano spara sistematicamente a tutti i civili, voglio dire a tutti i civili, non solo agli uomini di possibile età che indossano le armi, che vorrebbero attraversare la terra di nessuno.
Queste aree le chiamo “ghetto”, ovvero territorio di confinamento generale, non per nessuna categoria di popolazione, ma per tutta la popolazione. Poi la gente vive in tende in queste aree. E, anche qui, non si permette di passare da settore a settore, ovvero, sono, o possono essere, controllati in qualsiasi momento, di nuovo lì, per tutta la popolazione, non solo per chi probabilmente sarebbe combattente di Hamas.
Sapendo che qualsiasi aiuto alimentare esterno viene rifiutato, o addirittura distrutto alle frontiere (i figli dei coloni distruggono tonnellate di aiuti, con la benedizione dei soldati). Rifiutato perché, dice Israele, è stato rubato da Hamas, proprio come la Croce Rossa è stata cacciata da Gaza perché, dice Israele, era composta da membri di Hamas. Cioè, ancora una volta Hamas serve come pretesto per l’isolamento (non sto discutendo se Hamas sia oggi in grado di rubare tutti gli aiuti umanitari occidentali, né se le infermiere palestinesi siano tutti membri di Hamas, figuriamoci i volontari occidentali).
La GHF ha riferito, il 24 giugno, di aver distribuito, in totale, 8 milioni di pasti da quando era in vigore da circa un mese: un semplice calcolo dimostra che questi aiuti sono semplicemente vani. Non capisco, mentre scrivo, su quale criterio viene distribuito questo aiuto.
Chi ne ha il diritto?
Quello che so è che mattina e notte, in tutti i centri aperti dal GHF, la gente si accumula, perché ha bisogno di mangiare e bere! E che, tra queste folle impazienti e disperate, appena avanzano un po’ troppo oltre, l’esercito israeliano spara, proiettili veri e propri, in media, un centinaio di persone vengono uccise. Cioè, sparare sulla folla serve a incanalare la folla in attesa di cibo, e quell’attesa di cibo e andare a prenderlo, passare ore ed ore al sole, senza nulla da bere (donne e bambini), ti smaschera, giorno dopo giorno, la paura di essere uccisi. Cioè, la maggior parte della popolazione di Gaza vive oggi con la minaccia di morte imminente che è ancora possibile.
Anche questo, storicamente parlando, ha un parallelo.
Allo stesso tempo – ed essenziale – assistiamo ad un aumento degli attacchi di coloni in Cisgiordania, attacchi che possono essere definiti solo “pogrom”, per spostare le persone da settori non ancora annessi. Loro stessi (per esempio con la scusa di trasformare un territorio agricolo in campo militare) si moltiplicano a ritmo sostenuto.
Si potrebbe dire che quello che sta accadendo a Gaza è collegato agli ostaggi di Hamas e che Israele sta lottando per liberarli. Ma questa spiegazione non rientra nella Cisgiordania dove, semplicemente, non esiste Hamas. Quindi riguarda un’altra cosa.
Questa è una guerra, una guerra vera, ma una guerra particolare:
si tratta di far impazzire diversi milioni di persone.
A Gaza, prima uccidetevi a vicenda per razioni di cibo, poi accettate di essere evacuati nei campi all’esterno. Al momento non si sa dove, ma il piano deve esistere, sapendo che Egitto e Giordania si rifiutano di accogliere chiunque. Anche in Cisgiordania, si tratta di cacciare via tutti. Per ridurre tutte le vite alla sopravvivenza, con la paura quotidiana (in nome, non è vero, della sicurezza di Israele), e l’incapacità di costruire qualsiasi cosa, una casa, la vita quotidiana, l’incapacità di, semplicemente, avere un momento di riposo.
Perché, e a Gaza, e in Cisgiordania, viene lanciata una grande azienda: quella della demolizione, delle case che restano e, vedrete, se fate ricerche, che ci sono aziende israeliane che si guadagnano da vivere facendosi pagare per demolire case, una casa per 5000 sicli, ovvero lo stipendio mensile lordo minimo era di 5.571 75 shekel. Conta il numero di case per renderla redditizia.
Quello che sta per arrivare, in particolare, è Gaza Beach, ed è per questo che il GHF è in atto. Ricordiamo, l’ho detto e ripeto, che tutti gli archivi civili sono stati distrutti, e anche, ci pensiamo meno, ma è fondamentale, la maggior parte dei cimiteri. Cioè, ciò che viene distrutto è il ricordo della vita civile:
è una distruzione deliberata, pensata, pianificata.
Quindi questo non è solo un crimine contro l’umanità, ma un’impresa genocida.
L’idea non è uccidere tutti, ma cacciare tutti (mantenendo il meno possibile il bilancio effettivo dei morti a Gaza che deve essere oggetto di una cronaca separata), e sciogliere tutti nel resto della popolazione araba, secondo il grande idea dei sostenitori del sionismo, che si oppone alla piccola oasi democratica di Israele al mondo arabo più grande, come se, nel mondo arabo, non ci fossero differenze e nazionalità, cioè come se il mondo arabo fosse, nel suo complesso, solo una grande massa uniforme che la dice lunga sul razzismo che sottende l’intera impresa del “Grande Israele”.
Ne siamo testimoni, vicini e lontani.
Assistere a questo ci cambia, e ci mette l’uno contro l’altro qui in Occidente, perché sono molte le persone che si rifiutano assolutamente di ammettere i fatti che ho appena affermato e, soprattutto, di qualificarli.
Qualificarli tornerebbe a rompere l’ultima certezza della nostra vita.