Pioggia di bombe su Gaza City, 68 morti: Israele bombarda dopo aver ordinato l’evacuazione

Attacchi aerei massicci nella parte orientale della città. Le forze israeliane colpiscono dopo giorni di minacce e ordini di sgombero. Mentre la Cisgiordania brucia, l’esercito cambia tono solo quando a finire nel mirino sono i suoi uomini.

Pioggia di bombe su Gaza City, 68 morti: Israele bombarda dopo aver ordinato l’evacuazione
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30 Giugno 2025 - 11.23


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Di nuovo Gaza. Di nuovo le bombe. Almeno 68 i palestinesi uccisi domenica, 47 solo tra Gaza City e il nord della Striscia. Una cifra che racconta da sola l’intensità dell’ennesima ondata di raid israeliani, condotti dopo che l’esercito aveva ordinato lo sgombero forzato di interi quartieri nella zona orientale della città. Secondo Al Jazeera, sono stati almeno 50 gli attacchi aerei registrati in meno di ventiquattro ore. Una pioggia di fuoco che ha colpito case, strade, centri civili, in un territorio ormai allo stremo.

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I volantini erano arrivati sabato: “Evacuate immediatamente”. L’indirizzo era chiaro, la zona est della città di Gaza. Alcune famiglie hanno cercato di lasciare le abitazioni a piedi, trascinando bambini, anziani, qualche bottiglia d’acqua. Altre sono rimaste. “Non abbiamo dove andare, se usciamo ci colpiscono comunque”, ha detto una donna a un giornalista locale prima che iniziasse il bombardamento. La scena si ripete, come un rituale di distruzione già visto a Khan Younis, a Shujaiya, a Rafah.

Una guerra che non si ferma mai

Da ottobre 2023, la guerra a Gaza ha provocato un numero imprecisato ma enorme di vittime civili. Nessun luogo è sicuro, e la distinzione tra obiettivi militari e zone residenziali è diventata sempre più teorica. Ospedali, scuole, mercati: tutto può diventare bersaglio. Anche domenica, i raid sono arrivati a pochi minuti uno dall’altro. Prima una casa, poi un mercato. I corpi – secondo medici locali – sono stati trasportati all’ospedale al-Ahli, già al collasso.

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Il portavoce dell’esercito israeliano ha definito l’operazione “necessaria per neutralizzare cellule di Hamas che si nascondevano tra i civili”. È una formula ripetuta da mesi, ma non convince più nessuno, nemmeno tra gli alleati. Le immagini dei palazzi sventrati, dei bambini portati via su lenzuola macchiate di sangue, continuano a rimbalzare sui canali internazionali, ma senza alcuna conseguenza diplomatica reale.

Due pesi e due misure

Nel frattempo, in Cisgiordania, un altro fronte si infiamma. A Ramallah, domenica, un gruppo di coloni israeliani ha preso d’assalto un sito di sorveglianza dell’esercito, incendiando server e attrezzature, lasciando scritte in ebraico sui muri. È un gesto estremo, ma non isolato. Negli ultimi mesi, i coloni si sono resi protagonisti di numerosi attacchi contro i palestinesi: case bruciate, campi devastati, interi villaggi sotto assedio. E quasi sempre, l’esercito ha osservato – quando non ha direttamente protetto – gli aggressori.

Ma questa volta il bersaglio erano loro. I militari. E allora cambia tutto. In un comunicato ufficiale, l’esercito ha condannato “con fermezza ogni atto di violenza contro le forze di sicurezza” e ha chiesto che i colpevoli “siano assicurati alla giustizia”. Nessuna dichiarazione simile era arrivata quando, pochi giorni prima, i coloni avevano assaltato il villaggio palestinese di Kafr Malik, uccidendo due persone e ferendone molte altre.

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La differenza è lampante. Finché le vittime sono palestinesi, la macchina dello Stato tace o acconsente. Ma se a finire nel mirino sono i suoi apparati, allora la legalità improvvisamente conta.

Gaza brucia. Il mondo guarda altrove

Mentre il mondo guarda altrove, distratto da vertici internazionali e schermaglie elettorali, a Gaza si continua a morire. In silenzio. Senza vie di fuga, senza acqua potabile, senza medicine. I raid si susseguono come il rumore di fondo di una guerra permanente. E nel disordine di questa distruzione, resta una sola certezza: anche oggi, anche stanotte, qualcuno a Gaza non vedrà il mattino.

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