A Gaza si spera nella pace, ma la paura prevale: “Siamo esausti, non possiamo permetterci un’altra delusione”
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A Gaza si spera nella pace, ma la paura prevale: “Siamo esausti, non possiamo permetterci un’altra delusione”

Domenica mattina, a Gaza City, si parlava solo di una cosa: la possibilità di un cessate il fuoco. Nella città semidistrutta, come in tutto il territorio, quasi nessuno distoglieva lo sguardo dal cellulare, da un televisore

A Gaza si spera nella pace, ma la paura prevale: “Siamo esausti, non possiamo permetterci un’altra delusione”
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6 Luglio 2025 - 20.43


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Domenica mattina, a Gaza City, si parlava solo di una cosa: la possibilità di un cessate il fuoco. Nella città semidistrutta, come in tutto il territorio, quasi nessuno distoglieva lo sguardo dal cellulare, da un televisore o da parenti e amici meglio informati.

Um Fadi Ma’rouf, sfollata da Beit Lahia – ora ridotta in macerie – ha accolto con speranza la risposta positiva di Hamas all’ultima proposta statunitense per un accordo. «Penso che stavolta possa accadere davvero. Lo spero con tutto il cuore, questa situazione ci ha distrutti», ha detto la donna di 50 anni, costretta a cambiare rifugio nove volte dall’inizio del conflitto.

Israele, finora, ha rifiutato le modifiche richieste da Hamas a una bozza d’intesa in 14 punti circolata la scorsa settimana. Tuttavia, ha inviato una delegazione in Qatar per negoziati indiretti. Il primo ministro Benjamin Netanyahu incontrerà lunedì sera a Washington Donald Trump, che spera di poter annunciare personalmente un cessate il fuoco.

A Gaza City l’atmosfera resta tesa, silenziosa. All’alba, bambini scalzi con vestiti strappati camminavano per le strade lesionate in cerca di cibo o combustibile. Più tardi, molti si sono riversati verso la costa per trovare un po’ di sollievo dall’afa insopportabile.

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«Di tanto in tanto sentiamo bombardamenti, ma lontani, appena udibili», ha raccontato un abitante al Guardian. «Non abbiamo visto aerei, ma una nave da guerra si è avvicinata alla costa senza sparare».

Due precedenti cessate il fuoco – uno nel novembre 2023 e uno a gennaio 2024 – sono falliti. Il secondo è crollato in marzo, dopo che Israele ha rinnegato la promessa di avviare una seconda fase del piano, che avrebbe potuto porre fine alla guerra. È seguita una nuova offensiva militare e un blocco totale di 11 settimane, che ha messo a rischio carestia l’intera popolazione.

Il conflitto, che dura da quasi 21 mesi, è iniziato con il raid di Hamas in Israele nell’ottobre 2023, in cui furono uccise 1.200 persone, per lo più civili, e circa 250 ostaggi furono catturati. Di questi, 50 restano a Gaza, ma oltre la metà si presume sia morta.

L’offensiva israeliana successiva ha rasi al suolo gran parte della Striscia, costringendo gli oltre 2,3 milioni di abitanti a ripetuti sfollamenti e uccidendo oltre 57.000 persone, in gran parte civili.

«Durante l’ultima tregua non pensavo che la guerra sarebbe ripresa. Quando è successo, è stato devastante. Ho perso mia sorella e circa 20 membri della mia famiglia allargata», ha detto Ma’rouf. «Ora temo solo di perdere altri parenti: uno dei miei figli, i miei fratelli, qualcuno di caro».

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Shahd Ashour, 19 anni, il cui futuro cognato è stato ucciso pochi giorni prima dell’ultima tregua, è scettica: «La mia più grande paura è che il cessate il fuoco sia solo un’illusione, che siano voci false. Continuo ad avere un po’ di speranza, ma è davvero poca».

Lama al-Mubayyed, 12 anni, ha espresso timori simili: «Ho paura di essere fatta a pezzi, uccisa, paralizzata o perdere un arto. Ero felicissima durante l’ultima tregua. Mi sentivo al sicuro. Ma quando è tornata la guerra, ho pianto tantissimo: significava tornare alle tende, al caldo estremo, agli sfollamenti continui».

Secondo gli operatori umanitari, il carburante per i generatori – unica fonte di energia – è quasi finito. Se non arriveranno nuove forniture, le operazioni umanitarie crolleranno: gli ospedali chiuderanno, le comunicazioni salteranno.

«Siamo speranzosi per la tregua, certo. Ma vogliamo sapere quanta assistenza umanitaria entrerà, quanto in fretta e chi potrà distribuirla», ha detto un operatore umanitario a Deir al-Balah. «Ci sono troppe domande ancora senza risposta».

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Nelle ultime settimane, il flusso di aiuti è stato irregolare e comunque insufficiente rispetto ai bisogni, secondo le Nazioni Unite. Centinaia di persone sono morte nel tentativo di raggiungere camion saccheggiati o pochi punti di distribuzione. I prezzi dei generi alimentari di base sono saliti alle stelle: un chilo di farina costa 10 dollari, le lenticchie 12, riso e pasta 14 – troppo per la quasi totalità della popolazione.

«Il problema più grave oggi è trovare cibo e acqua», ha detto Adel Sharaf, 18 anni, di Beit Lahia, che ora vive in una tenda.

Molti temono l’ennesima delusione. Ahmad, 35 anni, del quartiere al-Shujaiya, distrutto dai bombardamenti, ha detto: «Sono pessimista. Ci raccontano ogni settimana che sta per arrivare un cessate il fuoco, e poi tutto salta. È sempre così».

Abu Adham Abu Amro, 55 anni, ha perso 25 familiari. «Preghiamo che stavolta la tregua si realizzi. Ogni giorno è una lotta: trovare acqua, cibo, sopravvivere alla mancanza di tutto. Non temo altro, ora, se non che la tregua fallisca di nuovo».

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