La proposta di un criminale di guerra come Benjamin Netanyahu di candidare Donald Trump, un uomo che incarna l’antitesi dei valori democratici, noto per razzismo, tentativi di golpe e politiche di deportazione, come Premio Nobel per la Pace è un atto di sconcertante sfrontatezza.
Un leader macchiato da accuse di crimini di guerra e dalla gestione di un’ecatombe umanitaria a Gaza, con migliaia di vittime civili, non ha alcuna legittimità per avanzare simili candidature.
Se il Nobel fosse attribuito a una figura come Trump, tanto varrebbe intitolarlo a un tiranno come Caligola simbolo antico di crudeltà e oppressione.
Una tale scelta non è un errore, ma un affronto alla dignità del premio e ai principi di giustizia e umanità che dovrebbe incarnare.
Questo gesto denuncia una deriva morale e una sconnessione dalla realtà, incapace di rispettare il peso delle parole in un mondo straziato da conflitti e polarizzazioni.
Non è questione di polemica, ma di lucidità: chi ha causato indicibili sofferenze manca dell’autorevolezza per indicare simboli di pace. La misura è stata oltrepassata, oltraggiando chi crede in equità e democrazia. È un richiamo severo a un discorso pubblico che ritrovi verità e responsabilità, rigettando provocazioni che calpestano la coscienza collettiva.