Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe assicurato al ministro delle Finanze Bezalel Smotrich che, al termine della tregua di sessanta giorni attualmente oggetto di negoziato a Doha, Israele riprenderà con piena forza le operazioni militari contro Gaza. Lo riporta il canale israeliano Channel 12, secondo cui Netanyahu avrebbe anche promesso un nuovo assedio al nord della Striscia e il trasferimento forzato della popolazione civile verso il sud.
“È nostra intenzione, dopo la tregua, trasferire la popolazione della Striscia verso sud e imporre un assedio al nord di Gaza”, avrebbe dichiarato Netanyahu in un incontro privato con Smotrich. Il ministro, leader del partito di estrema destra Sionismo Religioso, è da tempo tra i principali promotori di una ripresa a oltranza del conflitto e sta cercando garanzie politiche che la tregua non si traduca in una marcia indietro.
Il piano rivelato da Channel 12 non ha ricevuto conferme ufficiali, ma arriva in un momento particolarmente delicato per il governo israeliano, stretto tra le pressioni internazionali per un cessate il fuoco duraturo e le spinte interne di una coalizione radicale che considera qualsiasi forma di compromesso con Hamas una sconfitta strategica.
Secondo quanto riportano anche Reuters e AP, i negoziatori stanno tentando di finalizzare una tregua di due mesi che prevede il rilascio graduale degli ostaggi israeliani ancora detenuti e un parziale ritiro delle truppe da Gaza. Ma Hamas continua a chiedere una fine totale delle ostilità e il ritiro definitivo dell’esercito israeliano dal territorio. Un compromesso appare ancora lontano.
Nel frattempo, la situazione umanitaria nella Striscia è al collasso. Più di un milione di civili sfollati vivono in condizioni disumane, con accesso limitato ad acqua potabile, assistenza medica e rifugi. Le Nazioni Unite hanno denunciato un rischio epidemico crescente, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha segnalato un aumento allarmante dei casi di meningite nei centri di accoglienza sovraffollati.
La prospettiva di una nuova offensiva militare dopo la tregua – con lo spostamento forzato di centinaia di migliaia di persone e un assedio pianificato delle aree settentrionali – ha suscitato allarme tra osservatori internazionali e attivisti per i diritti umani. “Se davvero intendono confinare i palestinesi in zone isolate, senza possibilità di tornare alle loro case, allora siamo di fronte a un piano di trasferimento forzato che può configurarsi come crimine contro l’umanità”, ha detto alla Guardian una fonte diplomatica europea.
L’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert ha definito il progetto una “strategia di deportazione” e ha denunciato l’attuale governo di Netanyahu come responsabile di gravi crimini di guerra: “Quando costruisci una ‘città umanitaria’ in cui chi entra non può più uscire, la definizione è una sola: campo di concentramento”, ha dichiarato in una recente intervista.
La crescente impunità degli attacchi contro i civili – documentati anche da The Guardian e da Al Jazeera, che ha riferito dell’uccisione di bambini mentre raccoglievano acqua – sta provocando un’ondata di indignazione globale, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, dove la solidarietà verso Israele mostrata all’inizio del conflitto ha lasciato il posto a una rabbia crescente.
Secondo fonti diplomatiche raccolte da CNN e Haaretz, Netanyahu sarebbe consapevole di trovarsi a un bivio politico. Da un lato, le pressioni internazionali per una soluzione duratura; dall’altro, il timore di perdere il sostegno della destra religiosa e nazionalista che tiene in piedi la sua fragile coalizione.
Per il momento, la tregua resta sulla carta. Ma le parole di Netanyahu, se confermate, rischiano di minare ogni speranza di una pace duratura. E per gli oltre due milioni di abitanti della Striscia di Gaza, anche una tregua potrebbe rivelarsi solo una breve pausa prima di un nuovo assedio.