Segnatevi questo nome e cognome. E tenetelo bene a mente. Nella classifica della vergogna se la batte per i primi posti con i fascisti di Tel Aviv.
Si tratta di Mike Huckabee, immobiliarista miliardario, grande finanziatore della campagna presidenziale di Donald Trump, di cui è amico di lunga data. Per premiarlo, il tycoon lo ha nominato ambasciatore degli Stati Uniti in Israele. Ora, il tizio in questione non è un filoisraeliano. È molto di più. È un fan dei coloni, un odiatore seriale dei palestinesi (tout court, non solo di quelli di Hamas), è un giustificazionista del genocidio di Gaza e al tempo stesso un negazionista delle dimensioni apocalittiche di quella mattanza.
Al peggio non c’è mai fine. Così come all’impudenza. Lunedì, oltre due dozzine di Paesi occidentali hanno chiesto la fine immediata della guerra, denunciando che la sofferenza ha ormai «raggiunto nuove profondità». Tra i 25 Paesi c’è anche l’Italia, con il suo non certo cuor di leone ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Ora il verbo utilizzato dagli estensori per rivolgersi a Netanyahu e soci è “invitare”. Capito? L’esercito israeliano sta cancellando Gaza e annientando i palestinesi, e quelli “invitano”. Senza far riferimento, neanche il più soft, alle conseguenze di un rifiuto israeliano del cortese “invito”.
Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar ha respinto la dichiarazione, sostenendo che la pressione internazionale dovrebbe essere esercitata su Hamas, mentre l’ambasciatore statunitense Ma Mike Huckabee è riuscito a fare anche peggio. L’amico di Trump, ambasciatore a Gerusalemme (Trump nel suo primo mandato presidenziale aveva fatto come regalo all’amico Netanyahu il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, in barba a tutte le risoluzioni Onu che definiscono Gerusalemme Est come territorio occupato), insomma l’amico di Ben-Gvir e Smotrich, ha definito la lettera congiunta «disgustosa».
Di “disgustoso” c’è Lei, Signor Ambasciatore.
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