All'ombra della catastrofe nulla ha importanza per le masse affamate di Gaza

Il titolo di Haaretz fa da cornice ad uno struggente, drammatico, report di Hanin Majadli.

All'ombra della catastrofe nulla ha importanza per le masse affamate di Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Luglio 2025 - 12.22


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Il titolo di Haaretz fa da cornice ad uno struggente, drammatico, report di Hanin Majadli.

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Scrive Majadli: “All’inizio di questa settimana, sulla prima pagina del Daily Express, un quotidiano britannico di orientamento conservatore, è stata pubblicata la foto di un bambino di Gaza gravemente denutrito, accompagnata dal titolo: “Per pietà, fermate tutto questo”. Il sottotitolo recitava: “La sofferenza del piccolo Mohammed, che lotta per sopravvivere nell’inferno di Gaza, è una vergogna per tutti noi”.

Si tratta di una mossa insolita da parte di un organo di stampa solitamente considerato favorevole alla politica israeliana, anche in tempo di guerra.

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Lunedì, il primo ministro Benjamin Netanyahu è apparso nel podcast americano Full Send, affiliato al canale YouTube pro-Trump Nelk Boys. La piattaforma si rivolge a un pubblico giovane e di destra.

Tuttavia, il tentativo di entrare in contatto con questa base giovanile conservatrice ha sortito l’effetto contrario. I conduttori, che hanno cercato di giustificare la loro scelta di ospitare il primo ministro, hanno scatenato un’ondata di reazioni ostili. Un commento ha persino definito l’apparizione del primo ministro come “un Hitler moderno” – un’osservazione che, in passato, sarebbe stata liquidata come marginale, ma che i conduttori hanno invece confermato, rispondendo: “È un’ottima osservazione”.

Questi non sono episodi isolati, ma piuttosto il riflesso di un cambiamento più ampio all’interno degli schieramenti politici che da tempo sostengono Israele.

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Non si tratta di attivisti “woke” o di sinistra liberale progressista allineati al discorso sui diritti umani, gruppi che Israele è pronto a etichettare come antisemiti o ostili. Si tratta invece di voci su cui Israele ha fatto affidamento per decenni: sostenitori dell’ordine occidentale, fautori di una politica di sicurezza ferrea e coloro che vedono in Israele un attore civilizzato di fronte a un mondo musulmano caotico e minaccioso.

Prima di scrivere questo articolo, ho contattato Osama. Non avrei potuto scrivere dell’attuale situazione di carestia senza affrontare la difficoltà di contattare qualcuno che la sta vivendo in prima persona.

Osama, non riesco a chiederti come stai, perché solo il fatto di contattarti mi fa sentire in imbarazzo. Come posso chiedertelo, quando so quanto sia terribile, incomprensibile e disumana la situazione? Sento profondamente il tuo dolore, ma sono impotente di fronte alla tua situazione e non posso aiutarti, né alleviare o cambiare la tua condizione. Ti prego, perdonami.

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Attualmente in Israele è in corso un dibattito pubblico sull’esistenza della fame a Gaza. Chi non la nega, discute della sua diffusione. Beh, prendetevi tutto il tempo che volete. Io leggo i testi, ascolto le trasmissioni e provo nausea. È difficile esprimere a parole la profondità del mio disgusto. È insopportabile scrivere in ebraico della fame a Gaza, una lingua in cui si usano così spesso parole di giustificazione, offuscamento e negazione. Eppure, eccomi qui a scrivere.

Bambini, donne, uomini, cani e gatti stanno morendo di fame e di atroci sofferenze. Le foto del “prima e dopo” di Gaza sembrano scattate durante l’Olocausto o in Somalia e Darfur. Nel frattempo, in una realtà parallela, navi da crociera di lusso israeliane attraccano a Cipro e ad Atene, mentre asini feriti provenienti da Gaza vengono trasportati in aereo sotto l’egida israeliana per ricevere cure mediche e riabilitazione in Francia.

La prima pagina del quotidiano britannico, il podcast americano, il cambiamento di tono tra i circoli conservatori occidentali: niente di tutto ciò ha importanza per le masse affamate di Gaza. Non cambiano nulla. E nemmeno il mio articolo.

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Mi vergogno di occuparmene in questo modo. Mi vergogno di mangiare, di scrivere, di condividere. Ogni azione sembra insopportabile quando avviene all’ombra di questa catastrofe umana”.

Un servizio da incorniciare

Così l’Ansa: “Il corpicino ridotto a uno scheletro, la bocca aperta come a invocare aria e cibo, gli occhi scuri illuminati da un residuo bagliore di vita che sembrano domandare “perché”. La vergogna del mondo si riflette nell’immagine del piccolo Muhammad, retto in braccio da sua madre fra le macerie di una Striscia di Gaza prostrata ormai dalla fame, come accusano l’Onu, tutte le maggiori organizzazioni umanitarie del pianeta e innumerevoli testimonianze dal di dentro: ben oltre gli stessi dati sulle prime decine di morti addebitati alla “carestia” da ciò che resta dell’amministrazione locale legata a Hamas. 

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Un’immagine che contribuisce a far aprire gli occhi di tanti su uno scenario sempre più atroce, anche fra chi per mesi non aveva visto o voluto vedere. A partire da un Paese tradizionalmente alleato d’Israele come il Regno Unito, nel quale lo sdegno per l’escalation della violenza nella Striscia, per gli eccidi di civili palestinesi in coda per gli aiuti e per il moltiplicarsi delle denunce di un contesto di fame indotta fra la popolazione inizia a rompere gli argini: tanto che a ribellarsi non sono più solo gli attivisti pro-pal, la sinistra pacifista o la stampa liberal, ma pure voci conservatrici, esponenti o commentatori politici da sempre filo-israeliani e tabloid di destra non insensibili in passato alla retorica islamofoba come il Daily Express. È proprio quest’ultimo a pubblicare oggi, in una prima pagina-manifesto, la foto shock – pelle e ossa – del bambino Muhammad.

“Per pietà, fermate questo adesso”, titola il giornale: “Le sofferenze del piccolo Muhammad, aggrappato alla vita nell’inferno di Gaza, svergognano tutti noi”. Un senso di orrore e di onta rilanciato al Parlamento di Westminster, prima della chiusura estiva, da diverse voci bipartisan. Inclusa quella di Kit Malthouse, ex ministro Tory e già membro del gruppo dei ‘Friends of Israel’, che non ha esitato a evocare il sospetto di “genocidio” a Gaza, liquidando le recenti condanne verbali del governo laburista moderato di Keir Starmer come tardive e insufficienti, in assenza di sanzioni vere contro i vertici del governo Netanyahu o di conseguenze sulle forniture militari britanniche letali allo Stato ebraico. Per poi ammonire il titolare degli Esteri, David Lammy, sul rischio di finire lui stesso in futuro alla sbarra “all’Aja”, chissà, se alle parole non seguirà qualche fatto concreto: “Complice dei crimini” attribuiti a Israele”.

La realtà nauseante: la presa di potere di Netanyahu danneggia Israele

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Rimarca, sempre sul quotidiano progressista di Tel Aviv, Ravit Hecht: “I politici di tutti gli schieramenti raramente incarnano la coscienza morale della società umana. Alcuni entrano nell’arena politica con buone intenzioni, ma poi si rivelano assetati di potere e schiavi meschini degli intrighi. Altri, invece, sono dei gusci vuoti che non hanno mai posseduto nulla di valore da poter corrompere; privi di talento creativo, diventano dei burocrati di carriera (sì, ministro del Likud Gila Gamliel, stiamo parlando di te).

Personaggi come l’ex deputato Gadi Eisenkot sono rari come le galline dai denti d’oro e, nella maggior parte dei casi, come nel suo, non riescono a emergere o a diventare leader.

Detto questo, non c’è dubbio che il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu abbia superato ogni precedente conosciuto nel genere, dalla satira politica israeliana di Polishuk alla serie HBO House of Cards, stabilendo nuovi standard di ripugnanza politica.

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È difficile non provare un senso viscerale di repulsione, se non addirittura di nausea, per il comportamento che ha raggiunto il suo apice nelle ultime due settimane. Mentre gli ostaggi israeliani rimangono a Gaza e le loro famiglie continuano a soffrire, i soldati vengono uccisi e, in modo meno urgente ma comunque pressante, le crisi come l’aumento del costo della vita gravano sui cittadini di questo Paese già provato. Inoltre, i membri del partito al governo si sono dedicati esclusivamente alle elezioni interne del Likud e a una manovra corrotta per estromettere il deputato Yuli Edelstein dalla carica di presidente della Commissione Esteri e Difesa della Knesset.

La meschina lotta di potere inscenata da Netanyahu tra i deputati del Likud Hanoch Milwidsky e Boaz Bismuth per la leadership della commissione ha assorbito completamente l’attenzione di chi dovrebbe governare il Paese e invece viene pagato profumatamente per farlo.

Nel settore privato, chiunque non contribuisca agli obiettivi della propria organizzazione o non svolga il proprio lavoro viene licenziato rapidamente. Nella politica israeliana è esattamente il contrario. Finché si forniscono ai propri collaboratori un parcheggio alla Knesset, l’accesso alla caffetteria, l’immunità parlamentare e un posto decente alle primarie, si è a posto per tutta la vita. Questo comportamento ripugnante, che suscita disgusto in tutto lo spettro ideologico e tradisce un profondo disprezzo per la sensibilità dell’opinione pubblica, può essere spiegato in due modi.

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La prima spiegazione, sempre più difficile da liquidare come fantasia esagerata del cosiddetto campo “Just Not Bibi”, è che Netanyahu non ha alcuna intenzione di rischiare la sua posizione di leadership in elezioni libere.

Che si tratti di criminalizzare il voto arabo, squalificare i partiti arabi, prolungare la guerra a Gaza o sfruttare vari stati di emergenza come pretesto per rinviare indefinitamente le elezioni, o anche di rifiutare di accettare i risultati se non dovessero soddisfarlo, è possibile che Netanyahu intenda davvero impedire la sua sostituzione attraverso le urne.

Si tratta di una tesi che non può essere respinta a priori. Tuttavia, è importante riconoscere che accettarla equivale ad arrendersi al processo di ingigantire Netanyahu fino a proporzioni sovrumane, creando una realtà corrispondente. In questo scenario, Netanyahu è un mago onnipotente, capace di controllare tutto, persino l’espressione più fondamentale del governo democratico.

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Di conseguenza, anche i suoi più accaniti oppositori finiscono per condividere con i suoi sostenitori una percezione comune della realtà, sebbene in modo inverso, e molto probabilmente con lo stesso Netanyahu, a giudicare dal suo comportamento degli ultimi anni.

Ciò ci porta alla seconda spiegazione, altrettanto plausibile, se non di più. Netanyahu è sicuro di vincere le elezioni, o almeno di “cavarsela politicamente”, anche se si mette in imbarazzo e si circonda di individui incompetenti e corrotti che non apportano nulla alla società, se non il mantenimento della sua cerchia ristretta.

Gli adulatori che lo circondano e i suoi sostenitori più fedeli, che gli forniscono un’efficace rete di sicurezza, rafforzano la sua convinzione di essere invincibile e gli permettono di mantenere lo stesso stridente distacco dalla realtà.

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È pericoloso prevedere il futuro di Netanyahu, che è riuscito ripetutamente a uscire indenne da situazioni impossibili e ha dimostrato un notevole controllo sulla cronologia politica. In ogni caso, la disperazione e l’ossessione per lui, che hanno le caratteristiche di un culto, non sono opzioni realistiche. Servono solo a una persona: Benjamin Netanyahu”, conclude Hecht.

Niente da aggiungere. Solo da sottoscrivere parola per parola. 

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