Tra i tanti nefasti effetti della guerra infinita di Netanyahu e soci, c’è anche il dolore indicibile, la sofferenza infinita inflitti ai familiari dei soldati morti a Gaza. Di questo scrive Amir Tibon su Haaretz.
La guerra infinita di Netanyahu a Gaza sta distruggendo i soldati israeliani e le loro famiglie.
Così Tibon: “Lunedì pomeriggio, mentre guidavo la mia auto per le strade di Tel Aviv, ho acceso la radio proprio mentre iniziava il notiziario orario. La prima notizia riguardava un riservista che si era suicidato, lasciando una moglie e quattro figli: il quinto caso di un soldato che si toglieva la vita nelle ultime quattro settimane.
Un amico del soldato ha spiegato che era ossessionato da ciò che aveva visto mentre identificava i cadaveri dei civili uccisi da Hamas il 7 ottobre. Il 2024 ha registrato il numero più alto di suicidi tra soldati e riservisti in più di un decennio e il 2025 sembra destinato a superare questo triste record.
La notizia successiva riguardava tre giovani soldati della Brigata Nahal che, dopo aver già completato diversi cicli di combattimenti dal 7 ottobre, si sono rifiutati di rientrare a Gaza a causa dei gravi traumi subiti durante la guerra. Tutti loro hanno perso cari amici nei combattimenti. Uno di loro era già stato ferito, aveva seguito un percorso di riabilitazione e poi si era offerto volontario per rientrare nella sua unità, ma si è reso conto che le ferite psicologiche erano più difficili da superare di quelle fisiche. Il giornalista ha detto che l’esercito sta ora progettando di mandare tutti e tre in prigione per aver disobbedito agli ordini.
A questa notizia è seguita quella sui funerali di un soldato ucciso due giorni prima durante i combattimenti a Gaza e sulle strazianti parole della madre, che ha dichiarato di aver avuto la sensazione, per diversi giorni, che qualcuno dell’esercito sarebbe venuto a bussare alla sua porta per darle una brutta notizia. C’è stato anche un accenno a diversi soldati feriti in un altro incidente. Infine, è stato ricordato che 50 ostaggi sono ancora nelle mani di Hamas a Gaza e un breve aggiornamento sulle difficoltà dei negoziati per il loro rilascio è stato seguito dalle previsioni del tempo per oggi e domani.
Niente di nuovo o insolito in questo breve aggiornamento: solo un altro giorno nella “guerra infinita” di Israele, iniziata 662 giorni fa e che sembra non avere fine. Tuttavia, ciò che questo bollettino rappresentava era la crescente crisi all’interno delle file dell’esercito israeliano: con il protrarsi della guerra, il peso che grava sui soldati diventa insostenibile e gli obiettivi originari della guerra, ovvero riportare a casa gli ostaggi, porre fine al dominio di Hamas a Gaza e garantire condizioni di sicurezza migliori alle comunità israeliane lungo il confine, sembrano allontanarsi sempre di più.
In questi giorni, l’attenzione del mondo è concentrata sulle sofferenze dei civili a Gaza, sulle immagini strazianti di bambini affamati e sulla minaccia incombente di un disastro umanitario. Ma mentre questo argomento viene discusso anche in Israele, la questione principale che sta cambiando l’approccio degli israeliani alla guerra e rafforzando le voci che chiedono di porvi fine, è la situazione dei soldati del Paese: sia i più giovani, che stanno svolgendo il servizio militare obbligatorio, sia i riservisti più anziani, richiamati più volte negli ultimi 22 mesi.
Finora sono morti circa 900 soldati, migliaia sono rimasti feriti e altri ancora soffrono di disturbo da stress post-traumatico. L’esercito ha affermato che già il 7 ottobre mancavano migliaia di soldati e che semplicemente non aveva abbastanza uomini per svolgere tutti i suoi compiti in modo adeguato, come dimostrato dal fallimento nel proteggere il confine con Gaza.
La guerra, tuttavia, non ha fatto altro che aggravare il problema della carenza di personale. Ai riservisti delle unità di combattimento è stato chiesto di prestare servizio per centinaia di giorni, con gravi ripercussioni sulle loro famiglie, sui loro studi, sulle loro attività commerciali e sulle loro carriere. I giovani soldati che avrebbero dovuto completare il servizio quest’anno vengono richiamati automaticamente alla data di congedo e poi rispediti a Gaza per continuare a combattere.
A qualcuno potrà sembrare banale, ma è ciò che accade durante una guerra. Tuttavia, la strategia di sicurezza nazionale di Israele, sin dai tempi di David Ben-Gurion, si è sempre basata sull’obiettivo di condurre guerre brevi e decisive. A causa della sua esigua popolazione, il Paese dipende dai riservisti, la cui assenza dalla vita normale sconvolge l’economia. Si presume che, una volta terminata la guerra, ci sarà ancora bisogno di molti soldati per svolgere compiti di sicurezza di routine e che, quindi, non sia una buona idea “esaurire” le risorse umane dell’esercito.
Ma, sotto il governo di Netanyahu, è proprio quello che sta succedendo. Questo è il risultato diretto dell’insistenza del primo ministro nel prolungare il conflitto, del suo rifiuto di firmare un accordo di cessate il fuoco che porterebbe al rilascio di tutti gli ostaggi e del suo tentativo fallito di costringere Hamas alla resa, bloccando gli aiuti a Gaza e spingendo il territorio verso la fame. La stragrande maggioranza degli israeliani è favorevole a porre fine alla guerra in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi, ma i partner di estrema destra della coalizione di governo di Netanyahu si oppongono e chiedono invece di conquistare l’intera Striscia di Gaza, costruire insediamenti ebraici e espellere la popolazione palestinese.
A parte gli aspetti morali di una tale politica e l’impatto disastroso che avrebbe sugli ostaggi israeliani (che possono essere liberati solo tramite un accordo negoziato), i piani dei partner di Netanyahu per Gaza renderebbero più frequenti titoli come quello che ho sentito ieri. Ci sarebbero più funerali di soldati caduti, più casi di suicidio causati dall’angoscia e più defezioni tra le file, non per ragioni politiche o di valori, ma a causa del trauma e della disperazione.
A peggiorare ulteriormente la situazione, lo stesso governo di Netanyahu, che si rifiuta di porre fine alla guerra per placare i suoi membri di estrema destra, sta contemporaneamente promuovendo un disegno di legge scandaloso e impopolare che esenta decine di migliaia di giovani ultraortodossi dal servizio militare, per compiacere i partiti politici haredi. Ciò aggrava ulteriormente la situazione dei soldati e dei riservisti in prima linea che hanno disperatamente bisogno che l’esercito recluti più combattenti per alleggerire il peso che grava sulle loro spalle. Eppure, guardano con rabbia e incredulità mentre il governo fa l’esatto opposto.
La domanda più importante è se questa realtà contorta porterà a un’esplosione di rabbia. Ci sono stati segnali in questo senso durante il fine settimana, quando Ilan Green, padre di un giovane soldato gravemente ferito a Gaza, ha rilasciato un’intervista esplosiva a Channel 12, la stazione televisiva più popolare del Paese.
Ha parlato delle ferite mortali riportate dal figlio e del suo processo di guarigione in ospedale, per poi puntare il dito contro il governo di Netanyahu, accusandolo di sacrificare i soldati per motivi politici. “Abbiamo cresciuto una generazione straordinaria in questo Paese”, ha dichiarato. “Perché li stiamo uccidendo?” Perché stiamo distruggendo le loro vite?”
Green ha aggiunto che, dopo il 7 ottobre, era orgoglioso dei suoi due figli, quello ferito e il gemello, anch’egli in servizio in un’unità di combattimento, per come si sono precipitati a difendere il Paese sotto attacco. Ma con il passare del tempo, ha spiegato, «ho cominciato a chiedermi: cosa ci facciamo a Gaza? Perché ci vuole così tanto tempo?»
Sempre più israeliani si stanno ponendo queste domande. Il governo di Netanyahu, tuttavia, non ha altro da offrire che risposte terribili”, conclude Tibon..
I soldati israeliani tornano dalla guerra in condizioni ancora più difficili e senza ricevere le cure adeguate.
Un tema a cui Haaretz dedica l’editoriale di giornata: “Nell’ultimo mese, il muro di segretezza ha iniziato a sgretolarsi. L’opinione pubblica ha iniziato a rendersi conto degli effetti psicologici devastanti della guerra a Gaza. Un altro soldato ha raccontato di essere rimasto segnato psicologicamente e un altro militare che ha combattuto nella Striscia si è suicidato. Dall’inizio del mese, sei soldati si sono tolti la vita: tre di loro appartenevano all’esercito regolare, uno era un riservista in servizio attivo e gli altri due avevano prestato servizio di riserva prolungato e si sono suicidati dopo essere stati congedati.
Non tutti erano stati coinvolti nei combattimenti: due erano giovani soldati in fase di addestramento. Gli esperti di suicidio affermano che non esiste necessariamente un nesso causale tra le difficili esperienze di combattimento e la decisione di togliersi la vita. Tuttavia, anche i più scettici tra loro ammettono che la situazione è preoccupante e che c’è motivo di temere un’ondata di suicidi in Israele.
“Le crisi riducono i tassi di suicidio”, afferma il prof. Yossi Levi-Belz, direttore del Centro Lior Tsfaty per lo studio del suicidio e del dolore mentale presso il Centro Accademico Ruppin. “È quello che è successo durante le guerre di Israele, i disastri naturali, l’11 settembre e durante la crisi del coronavirus”.
Tuttavia, quando gli spari cessano e la crisi è passata, il tasso di suicidi aumenta, principalmente a causa dell’aumento del numero di persone che soffrono di disturbi mentali come la depressione e il disturbo da stress post-traumatico.
L’ultima persona aggiunta alla lista dei suicidi era un riservista che non aveva preso parte ai combattimenti, ma aveva trascorso lunghi mesi impegnato nell’identificazione dei soldati caduti. Un suo amico dell’unità ha dichiarato a Haaretz che il trattamento riservato dall’esercito ai soldati che prestano servizio nell’unità di identificazione delle vittime è vergognoso. L’esercito non fornisce un adeguato supporto sanitario mentale ai soldati, perché non sono considerati truppe da combattimento.
Anche per i soldati di combattimento, l’accesso alle cure psichiatriche è insufficiente. Secondo la Divisione Riabilitazione del Ministero della Difesa, ogni mese vengono ricoverate centinaia di persone con problemi di salute mentale, molte delle quali affette da disturbo da stress post-traumatico (PTSD) dopo aver prestato servizio nella Striscia di Gaza. Si parla di una grave carenza di assistenti sociali, psicologi e, soprattutto, psichiatri.
Non sta procedendo la modifica della legislazione per attuare molte delle sezioni non approvate delle riforme Nefesh Echad (Un’anima sola), introdotte dopo il tentativo di suicidio di Itzik Saidian nel 2021. Da mesi i ministeri della Difesa e delle Finanze sono impegnati in una battaglia su questo tema.
I ministri responsabili non sembrano interessati. Il ministro della Difesa, Israel Katz, è troppo impegnato a partecipare a un evento grottesco per commemorare la demolizione degli edifici di Holon, danneggiati durante la guerra con l’Iran, mentre il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, è alle prese con i suoi sogni messianici di conquistare e ripopolare la Striscia di Gaza. Nel frattempo, i soldati che tornano dal campo di battaglia vengono abbandonati al buio e senza cure adeguate”.
Così è. Il governo fascista di Tel Aviv verrà ricordato per molte cose indegne: il genocidio a Gaza, l’apartheid in Cisgiordania, lo smantellamento dello stato di diritto. Ed anche per quei soldati costretti al suicidio o che vivranno con un trauma permanente.
Per decenni, le Forze di difesa israeliane (Idf) sono state un vanto d’Israele, una “istituzione” in cui tutti, da destra a sinistra, si riconoscevano. Molti primi ministri che hanno fatto la storia dello Stato ebraico hanno avuto ruoli chiave nell’esercito: Moshe Dayan, Yitzhak Rabin, Ehud Barak solo per citarne alcuni. Netanyahu e i suoi sodali Ben-Gvir e Smotrich hanno rovinato l’immagine di Tsahal, epurando i comandanti più avveduti per sostituirli con i fedelissimi, quelli che non obiettano sulla guerra infinita e la soluzione finale. La storia chiederà a loro anche di rispondere di questo.