Yinon Levi, il colono israeliano accusato di aver ucciso l’attivista palestinese Awdah Hathaleen nel villaggio di Umm al-Khair, in Cisgiordania, è stato rilasciato dalla custodia e non è più sottoposto agli arresti domiciliari, secondo quanto deciso dalla Corte Magistrale di Gerusalemme il 2 agosto. La notizia ha scatenato un’ondata di indignazione internazionale, con attivisti e organizzazioni per i diritti umani che denunciano un sistema di impunità che protegge i coloni israeliani mentre i palestinesi subiscono crescenti violenze nei territori occupati.
L’uccisione di Awdah Hathaleen Il 28 luglio 2025, Awdah Hathaleen, 31 anni, insegnante di inglese e attivista beduino, è stato colpito a morte da un proiettile al petto mentre si trovava nel centro comunitario del suo villaggio, Umm al-Khair, nella regione di Masafer Yatta, a sud di Hebron. Hathaleen era una figura di spicco, nota per il suo contributo al documentario vincitore dell’Oscar No Other Land, che documenta la resistenza non violenta delle comunità palestinesi contro le demolizioni di case e le violenze dei coloni. Secondo testimoni, tra cui il cugino Alaa Hathaleen e l’attivista ebreo americano Mattan Berner-Kadish, Hathaleen si trovava a circa 150 metri di distanza dal colono Yinon Levi, che stava operando un bulldozer, danneggiando alberi e un tubo dell’acqua del villaggio. Quando i residenti hanno protestato, Levi ha aperto il fuoco in modo indiscriminato. Un video diffuso da B’Tselem mostra Levi sparare selvaggiamente verso i palestinesi, mentre Hathaleen, lontano dal confronto diretto, collassava a terra.
Hathaleen è stato trasportato d’urgenza in un ospedale in Israele, ma è morto per le ferite riportate. Nel frattempo, le autorità israeliane hanno arrestato cinque palestinesi e due attivisti stranieri, tra cui un’infermiera americana che aveva tentato di prestare soccorso a Hathaleen, accusati di aver lanciato pietre o di aver cercato di smantellare le telecamere che registravano l’incidente. L’infermiera ha riferito che, mentre i palestinesi arrestati erano ammanettati e bendati, Levi si muoveva liberamente, condividendo sigarette con gli agenti di polizia.
Yinon Levi: un colono con un passato di violenza Yinon Levi, proprietario di una fattoria illegale vicino a Hebron, è noto per una lunga storia di attacchi contro le comunità palestinesi. In precedenza era stato sanzionato dagli Stati Uniti sotto l’amministrazione Biden, oltre che dal Regno Unito e dall’Unione Europea, per il suo ruolo in episodi di violenza contro i palestinesi. Tuttavia, le sanzioni americane sono state revocate dal presidente Donald Trump a gennaio 2025, una decisione che ha sollevato critiche dopo l’uccisione di Hathaleen. Levi è stato inizialmente arrestato con l’accusa di omicidio colposo e uso illegale di arma da fuoco, ma è stato rilasciato agli arresti domiciliari il 29 luglio. Il 2 agosto, la giudice Chavi Toker ha respinto la richiesta della polizia di prolungare gli arresti domiciliari, sostenendo che le prove contro Levi si erano indebolite e che la sua tesi di autodifesa era supportata da alcune testimonianze. Questa decisione ha permesso a Levi di tornare completamente libero, nonostante le accuse pendenti.
Un sistema di impunità e un contesto legale squilibrato Il caso mette in luce un sistema giudiziario profondamente asimmetrico. Mentre i coloni israeliani, come Levi, sono giudicati secondo la legge civile israeliana, i palestinesi nei territori occupati sono sottoposti alla legge militare. Questo significa che i coloni godono di maggiori garanzie legali e di una più ampia presunzione di innocenza, mentre ai palestinesi vengono spesso negati processi equi, con alti tassi di condanna e lunghe detenzioni senza processo. Secondo l’organizzazione israeliana Yesh Din, solo il 3% dei casi di violenza da parte di coloni contro palestinesi si conclude con una condanna. A Hebron e nella zona di Masafer Yatta, questi episodi sono frequenti e documentati da anni: aggressioni, incendi dolosi, danneggiamenti e spari avvengono spesso con la complicità tacita o l’inazione delle forze di sicurezza israeliane.
Le autorità israeliane hanno anche trattenuto il corpo di Hathaleen, rifiutando di restituirlo alla famiglia a meno che non accettassero condizioni draconiane, come limitare il funerale a 15 partecipanti e seppellire il corpo fuori dal villaggio. Questa mossa è stata denunciata come un tentativo di minimizzare l’impatto dell’uccisione. In risposta, circa settanta donne di Umm al-Khair hanno intrapreso uno sciopero della fame per chiedere la restituzione del corpo e il rilascio dei palestinesi detenuti in relazione all’incidente.
Condanne internazionali L’uccisione di Hathaleen ha provocato una forte reazione internazionale. Il ministero degli Esteri francese ha definito l’atto un “omicidio” e la violenza dei coloni “una forma di terrorismo”, chiedendo che il responsabile venga punito. Amnesty International ha descritto l’episodio come parte di una “tragedia devastante” e ha richiesto indagini indipendenti. Anche J Street, un gruppo pro-Israele di orientamento progressista, ha condannato l’uccisione, chiedendo il ripristino delle sanzioni contro i coloni violenti.
Un contesto di violenza crescente L’episodio si inserisce in un’ondata di violenza senza precedenti in Cisgiordania, dove, secondo i dati, almeno 1.010 palestinesi sono stati uccisi e oltre 7.000 feriti da coloni e soldati israeliani dall’ottobre 2023. Gli insediamenti, considerati illegali dal diritto internazionale, continuano a espandersi, spesso a scapito delle terre palestinesi. A Umm al-Khair, vicino all’insediamento di Carmel, i residenti vivono in condizioni precarie, con molte case prive di acqua corrente o elettricità, mentre i coloni godono di infrastrutture moderne e protezione militare.
La lotta di Hathaleen e la sua eredità Awdah Hathaleen, padre di tre figli, era un simbolo di resistenza non violenta. A 17 anni aveva iniziato a opporsi alle demolizioni delle case e all’espansione degli insediamenti. Il suo lavoro con No Other Land aveva portato la sua storia e quella della sua comunità all’attenzione globale. A giugno 2025, era stato invitato a parlare negli Stati Uniti, ma le autorità lo avevano respinto all’aeroporto di San Francisco senza spiegazioni. La sua morte è stata descritta come una perdita enorme da amici e colleghi, tra cui il regista Yuval Abraham e il giornalista Basel Adra, che hanno denunciato un sistema che “punisce le vittime e premia l’assassino”.
Mentre la famiglia di Hathaleen attende ancora di poter seppellire il suo corpo, la liberazione di Levi rappresenta un duro colpo per chi cerca giustizia in Cisgiordania. “È devastante. Il suo assassino è libero, mentre noi non possiamo nemmeno piangerlo dignitosamente,” ha detto Salem Hathaleen, fratello di Awdah. La comunità internazionale continua a chiedere responsabilità, ma il caso di Hathaleen evidenzia una realtà in cui l’impunità per i coloni sembra essere la norma, lasciando le comunità palestinesi sempre più vulnerabili.