La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, è tornata a usare la retorica più dura contro l’Europa e l’Ucraina. In un post pubblicato sul suo canale Telegram, ha definito “un altro volantino nazista” la dichiarazione congiunta firmata da alcuni leader europei, dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Il testo chiedeva un cessate il fuoco in Ucraina e il proseguimento del sostegno a Kiev.
Secondo Zakharova, la proposta europea “non prevede di fermare la fornitura di armi ai terroristi di Kiev”, ma afferma che “il successo nel raggiungimento della pace in Ucraina può essere ottenuto solo esercitando pressioni sulla Russia e sostenendo Kiev”.
La propaganda del “nazismo” come strumento politico
Le parole di Zakharova si inseriscono in una strategia comunicativa ben collaudata del Cremlino: bollare come “nazista” o “neonazista” qualsiasi avversario, siano essi governi, organizzazioni o leader politici contrari alla linea russa. È la stessa accusa utilizzata dal presidente Vladimir Putin per giustificare l’invasione dell’Ucraina nel 2022, sostenendo la necessità di una “denazificazione” del Paese, nonostante la presidenza di Zelensky — ebreo e con familiari vittime dell’Olocausto — renda l’affermazione priva di fondamento storico e politico.
La contraddizione: Mosca e le simpatie per l’estrema destra
Negli ultimi quindici anni, Mosca non si è limitata a simpatizzare a distanza, ma ha offerto un sostegno concreto — politico, finanziario e mediatico — a formazioni che affondano le radici nell’ideologia post-nazista o neofascista.
In Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen ha beneficiato di prestiti milionari concessi da istituti di credito russi, legando così parte della propria sopravvivenza economica a Mosca. In Germania, l’AfD ha visto alcuni suoi esponenti intrattenere rapporti diretti con ambienti vicini al Cremlino, alimentando sospetti di influenza politica.
Anche in Austria, il FPÖ, partito al centro dello scandalo “Ibizagate” e noto per le sue posizioni xenofobe, ha firmato veri e propri accordi di cooperazione con Russia Unita, la formazione di Vladimir Putin. La rete di contatti si estende inoltre a movimenti come Jobbik in Ungheria, Lega in Italia, Vlaams Belang in Belgio e Chega! in Portogallo, i cui rappresentanti non di rado compaiono a conferenze e iniziative sponsorizzate da network filo-russi.
A ciò si aggiunge il sostegno — talvolta diretto, talvolta mediato — a gruppi paramilitari e milizie di estrema destra in Europa orientale e nei Balcani, realtà che vedono nella Russia un prezioso alleato strategico nella loro lotta contro l’Unione Europea e la NATO.
Un doppio standard evidente
Il paradosso è evidente: mentre accusa gli altri di nazismo, il Cremlino intrattiene rapporti amichevoli con forze che non nascondono simboli, linguaggi e riferimenti ereditati dal fascismo storico. Questi legami non sono episodi isolati, ma fanno parte di una strategia di lungo periodo per destabilizzare le democrazie occidentali, favorire la frammentazione dell’Unione Europea e diffondere narrazioni anti-occidentali.
La dichiarazione di Zakharova, dunque, non è solo l’ennesima invettiva contro Bruxelles e Kiev, ma un esempio lampante della dissonanza tra la propaganda ufficiale russa e la realtà delle sue alleanze politiche.
In un contesto in cui la guerra in Ucraina continua a mietere vittime e a generare crisi internazionali, il ricorso sistematico all’etichetta di “nazismo” contro chiunque si opponga alla politica del Cremlino appare sempre più come un’arma retorica logora — tanto più se a usarla è uno Stato che, nei fatti, non disdegna affatto la compagnia dei veri eredi della destra radicale europea.