Abdel Karim Wahdan non ha più le forze per parlare. La ha scritto il Guardian in un reportage firmato da Quando arrivano visitatori, l’ottoenne finge di dormire, per evitare che qualcuno lo guardi. Tra le frequenti sedute di dialisi, piange. Dice che gli fanno male le ossa.
Abdel Karim sta morendo. La sua morte sarebbe evitabile, ma poiché vive a Gaza non può accedere alle cure che potrebbero salvargli la vita. Quello che era iniziato come un’insufficienza renale acuta è ormai cronico: il suo piccolo corpo ha iniziato a gonfiarsi e lui passa le giornate tra letti d’ospedale e iniezioni che odia.
«Mio figlio soffre moltissimo. L’ospedale è diventato la sua casa. I medici sono impotenti e io posso solo guardare e pregare» racconta sua madre, Najwa Wahdan.
Con il peggiorare della malattia, Abdel Karim è stato anche diagnosticato come malnutrito, man mano che il cibo è scomparso dai mercati di Gaza. La sua unica speranza è essere evacuato dalla Striscia per ricevere cure mediche all’estero. Wahdan ha presentato la richiesta di trasferimento quattro mesi fa, ma è ancora in attesa.
Abdel Karim è uno dei migliaia di abitanti di Gaza in attesa di un trattamento all’estero. Ottenere l’approvazione per un’evacuazione medica è un processo lungo e faticoso che può richiedere anni. Zahir al-Wehadi, responsabile dell’ufficio informazione del ministero della Sanità di Gaza, dichiara: «Abbiamo più di 16.000 pazienti [a Gaza] che necessitano di cure all’estero. Abbiamo già perso più di 600 persone morte mentre aspettavano di partire».
Decine di migliaia di persone sono state ferite da bombardamenti e colpi di arma da fuoco israeliani nei 22 mesi di guerra, che ha causato oltre 61.000 morti. Malattie e patologie – molte delle quali assenti a Gaza prima del conflitto – si diffondono facilmente, mentre i rifiuti solidi si accumulano e la popolazione vive ammassata, con scarso accesso ad acqua potabile e prodotti per l’igiene.
I ripetuti attacchi israeliani contro gli ospedali di Gaza e il blocco delle merci di base hanno devastato il settore sanitario. I medici affermano che spesso non dispongono delle forniture necessarie per curare i pazienti; in questi casi rilasciano un referral, cioè una richiesta di evacuazione all’estero.
Israele controlla chi entra e chi esce dalla Striscia. Chi necessita di cure fuori da Gaza deve ottenere l’approvazione di COGAT, l’agenzia militare israeliana responsabile degli affari umanitari per i palestinesi. A dicembre, l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che il ritmo delle evacuazioni mediche era così lento che sarebbero serviti dai cinque ai dieci anni per smaltire l’arretrato. COGAT è stata contattata per un commento.
L’attesa per un’evacuazione medica è estenuante. I pazienti e le loro famiglie non hanno alcun modo di accelerare il processo e possono solo sperare che l’autorizzazione arrivi prima della morte.
Durante questi mesi, le condizioni fisiche e mentali di Abdel Karim sono peggiorate. Ha perso la capacità di camminare e, quando la pressione sanguigna si abbassa troppo, diventa temporaneamente cieco e ha convulsioni.
«Quello che amavo di più di Abdel Karim era la sua calma; non dava mai problemi come altri bambini» ricorda la madre. «Amava studiare arabo e inglese. Un tempo voleva diventare medico».
Ma i mesi di malattia lo hanno cambiato. «Negli ultimi tre mesi si è chiuso in sé stesso, è irritabile, urla spesso e non parla con nessuno: non è più il figlio tranquillo che conoscevo», dice Wahdan.
Molti bambini sono morti aspettando l’approvazione per l’evacuazione.
Amina al-Jourani non si era preoccupata troppo quando, nel gennaio 2024, suo figlio quindicenne Nidal tornò a casa con una ferita al piede. Israele aveva bombardato una casa vicina e Nidal era andato a soccorrere i feriti, portandoli in ospedale con la sua bicicletta. Tornato a casa, aveva solo un piccolo taglio al piede.
«All’inizio non ci abbiamo dato troppo peso. Sembrava una ferita semplice, normale» racconta Jourani. Ma nei giorni seguenti Nidal sviluppò febbre, perse peso e la pelle si ricoprì di macchie rosse.
Passò un anno e mezzo prima che i medici approvassero la richiesta di trasferirlo all’estero, poiché la sua condizione, pur persistente, non sembrava pericolosa per la vita. L’ospedale in cui era ricoverato, l’European Hospital, venne bombardato e lui fu rimandato a casa. La febbre aumentò, il piede divenne blu. Ricoverato in un altro ospedale, gli fu diagnosticata un’insufficienza renale. Morì due giorni dopo, il 2 giugno 2025.
I medici affermano che è impossibile far fronte a tutti i casi, soprattutto da quando, a marzo, Israele ha imposto un blocco severo agli aiuti umanitari. Le organizzazioni umanitarie parlano di uno scenario di carestia estrema in corso a Gaza. Israele nega che ci sia una crisi di fame e attribuisce alle Nazioni Unite una cattiva distribuzione degli aiuti – accusa respinta unanimemente dalle organizzazioni umanitarie.
«Molti bambini muoiono per la mancanza di risorse o per l’assenza di risposta alle richieste di trasferimento» spiega Ragheb Warsh Agha, direttore del reparto di gastroenterologia dell’ospedale pediatrico al-Rantisi. «In molti casi, le cure sono semplici – per esempio, potremmo aver bisogno di farmaci di base, di trattamenti specifici non disponibili o di eseguire esami per i quali manca l’attrezzatura necessaria».
Agha aggiunge che l’ospedale sovraffollato è costretto spesso a mettere tre bambini nello stesso letto, favorendo la diffusione delle malattie. La crisi alimentare aggrava il problema: la mancanza di cibo indebolisce il sistema immunitario e rende più difficile guarire.
Per i genitori che attendono che la burocrazia consegni quel pezzo di carta che può significare la vita per i loro figli, l’impotenza è straziante.
Jourani ricorda: «Nel momento più grave della sua malattia, Nidal mi diede 100 shekel che aveva risparmiato e mi disse: “Mamma, tienili per me così, quando il [valico] riaprirà, potrò comprare tante caramelle, cioccolato e snack”».
Due mesi e mezzo dopo la morte di Nidal, sua madre ricevette un messaggio: la richiesta di evacuazione era stata approvata.
«Nidal è morto e i soldi sono ancora nella mia borsa» dice tra le lacrime. «È morto aspettando che i valichi si aprissero».
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