Al 1.268esimo giorno di guerra, il vertice in Alaska tra Putin e Trump non è visto dagli ucraini come l’inizio della “fine” della guerra. La fine non è certo vicina, dicono.
Un giornale che da qualche tempo, dall’esilio, anche soltanto col nome di battesimo, raccoglie lettere e pensieri sulla guerra, sia di ucraini che di russi – tanto, per lo più, ricorrono gli stessi nomi da un lato e dall’altro – pubblica una lettera delle ultime ore, quelle dell’attesa per il vertice.
Vi si legge:
“È importante capire la differenza tra fine e congelamento della guerra… Entrambe le parti rimarranno insoddisfatte dei risultati dell’accordo. Ciò significa che ci sarà sempre la possibilità di una seconda guerra. La storia insegna… D’altra parte – aggiunge chi scrive – voglio davvero respirare, almeno per un po’; per un po’ di tempo vivere senza guerra: niente droni e missili, niente morti, niente cattive notizie ad ogni angolo, ad ogni momento del giorno”.
Poi, il sogno, il piccolo sogno:
“Voglio andare in un bel posto tranquillo, da qualche parte solo per rilassarmi…”.
Chi scrive, lo sa bene:
“Non tutti gli ucraini saranno d’accordo con me, ma qui e ora non parlo per tutti. Sono molto stanco, e tutti intorno a me sono molto stanchi. Oggi non vedo altra via d’uscita…”.
Una pace anche breve, per respirare.