Vladimir Putin ha presentato quelle che definisce proposte di pace, ma che in realtà somigliano a un diktat: condizioni capestro che, se accettate, trasformerebbero l’Ucraina in un protettorato russo e sancirebbero la vittoria della legge del più forte sulle regole del diritto internazionale.
Una “soluzione definitiva” che significa annessione
Il leader del Cremlino non intende parlare di un cessate il fuoco temporaneo, ma solo di una “soluzione definitiva”. Dietro le parole si nasconde l’obiettivo: consacrare l’annessione illegale dei territori già occupati e costringere Kiev a rinunciare a parti vitali della propria sovranità. Non una trattativa, dunque, ma un ricatto.
Donetsk consegnato a Mosca
La richiesta più esplicita riguarda il Donetsk. Putin esige che l’Ucraina si ritiri completamente, lasciando così la regione al controllo russo, dopo che Lugansk è già stato quasi interamente occupato. In questo modo Mosca otterrebbe l’intero Donbass, il cuore industriale e simbolico del Paese, piegando non solo l’economia ma anche la memoria storica dell’Ucraina.
Congelare l’occupazione a Kherson e Zaporizhzhia
Per Kherson e Zaporizhzhia, Putin finge moderazione: propone di “congelare” il fronte. Tradotto, significa: Mosca si tiene i territori già conquistati, mentre a Kiev non resterebbe che accettare lo status quo, con la minaccia costante di una ripresa delle ostilità in qualsiasi momento. Una pace instabile, imposta con la forza e destinata a esplodere di nuovo.
Il russo come lingua ufficiale e il controllo religioso
Non basta. Putin pretende anche che il russo diventi lingua ufficiale in Ucraina, un affronto alla sovranità culturale di un Paese che da anni cerca di difendere la propria identità da secoli di russificazione. E non solo: il Cremlino vuole “garanzie di sicurezza” per le chiese ortodosse legate al patriarcato di Mosca, trasformando un conflitto geopolitico in una battaglia religiosa sotto il controllo russo.
Una pace che è resa
Definire queste condizioni come “proposte di pace” è un inganno. Si tratta di un diktat concepito per piegare Kiev e ribaltare a favore della Russia i principi stessi su cui si fonda l’ordine internazionale: l’inviolabilità dei confini, l’autodeterminazione dei popoli, il diritto di difendersi da un’aggressione.
La comunità internazionale, e in particolare l’Occidente, non può accettare che sotto l’etichetta della diplomazia si nasconda la resa incondizionata dell’Ucraina. Le condizioni di Putin non aprono la strada alla pace: sono un manifesto di guerra permanente, travestito da compromesso.