Aveva promesso fuoco e fiamme se non fosse riuscito a ottenere un cessate il fuoco. Oggi, di fronte all’evidente fallimento, Donald Trump si rifugia nelle parole, cercando di ribaltare il quadro e giustificare il mancato risultato.
Nella telefonata con Volodymyr Zelensky e i leader della Nato, il presidente americano ha dichiarato che Vladimir Putin “non vuole un cessate il fuoco, ma preferisce un accordo globale per porre fine alla guerra in Ucraina”. Una presa d’atto che stride con le promesse roboanti fatte nei mesi scorsi, quando Trump garantiva di poter fermare la guerra “in 24 ore” se solo fosse stato ascoltato.
Il tono è quello di chi, non avendo raggiunto l’obiettivo sbandierato, prova a riscrivere le regole del gioco. “Penso che un rapido accordo di pace sia meglio di un cessate il fuoco”, ha sottolineato Trump, trasformando la sua resa diplomatica in un presunto cambio di strategia.
Ma le parole non cancellano i fatti: il cessate il fuoco non è arrivato, la guerra continua e l’ex magnate newyorkese appare ancora una volta prigioniero delle sue stesse promesse. La linea di Putin resta intatta e, invece di imporre fermezza e condizioni, Trump si mostra accomodante, pronto a mascherare la mancanza di risultati dietro la formula vaga di un “accordo globale”.
In questo scenario, il rischio per l’Ucraina e per l’Occidente è evidente: a forza di inseguire slogan e illusioni di diplomazia lampo, la leadership americana rischia di concedere legittimità al Cremlino e di indebolire la posizione di chi combatte ogni giorno per la propria libertà.
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