Dalla cella alla presidenza: che la storia di Barghouti si compia come quella di Mandela

La provocazione d Ben Gvir neo confronti di un detenuto che i lunghi anni di prigionia e sofferenze hanno reso irriconoscibile ha provocato in me, come penso a tutti coloro che conservano un briciolo di umanità, dolore e rabbia

Dalla cella alla presidenza: che la storia di Barghouti si compia come quella di Mandela
Marwan Barghouti
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Gianni Cipriani Modifica articolo

18 Agosto 2025 - 11.11


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La provocazione d Ben Gvir neo confronti di un detenuto che i lunghi anni di prigionia e sofferenze hanno reso irriconoscibile ha provocato in me, come penso a tutti coloro che conservano un briciolo di umanità, dolore e rabbia.

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Eppure c’è un punto in cui la storia potrebbe ripetersi, tragica e rivelatrice. Nelson Mandela, oggi simbolo universale di libertà e di riconciliazione, fu per decenni bollato come “terrorista”. Arrestato nel 1962 e condannato al carcere a vita nel 1964, trascorse 27 anni dietro le sbarre, di cui gran parte a Robben Island. Per l’establishment sudafricano dell’apartheid, Mandela era l’incarnazione del nemico, da neutralizzare e ridurre al silenzio. Ma il mondo libero imparò con il tempo a riconoscere che il prigioniero non era un terrorista: terroristi, piuttosto, coloro che lo avevano privato della libertà per difendere seminando terrorre un regime ingiusto e oppressivo.

Oggi, una parabola simile attraversa la vicenda palestinese. Marwan Barghouti, leader carismatico e figura centrale di Fatah, è da più di vent’anni rinchiuso nelle carceri israeliane. Su di lui pendono condanne pesantissime, pronunciate al termine di processi contestati da più parti come privi delle garanzie di equità.

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Per lo Stato israeliano, Barghouti resta il “terrorista” da tenere lontano dal popolo. Eppure, per gran parte della società palestinese, egli rappresenta il volto della resistenza e della speranza: l’uomo che, una volta libero, potrebbe incarnare l’unità nazionale e guidare un processo politico verso una Palestina libera, democratica, riconciliata con se stessa e con il diritto internazionale. Quel diritto internazionale sempre più calpestato e sostituito dalla legge del più forte.

Il parallelismo con Mandela non è scorciatoia retorica, ma riflessione storico-politica. Così come l’African National Congress fu criminalizzato e i suoi leader perseguitati, così la leadership palestinese è stata sistematicamente delegittimata (ora mediaticamente presentata in maniera falso come unica estressione dei ‘terroristi di Hamas’) e privata della possibilità di guidare il proprio popolo in un percorso di autodeterminazione.

Mandela uscì dal carcere non spezzato, ma rafforzato: capace di trasformare il suo lungo calvario in un capitale politico e morale che avrebbe portato il Sudafrica a compiere la svolta epocale verso la fine dell’apartheid.

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La domanda che resta aperta è se la storia potrà offrire anche a Barghouti – e dunque alla Palestina – una simile occasione. Non per riscrivere il passato con i suoi lutti e le sue ferite, ma per dare al presente e al futuro la possibilità di una via politica fondata sul riconoscimento reciproco e sulla giustizia. Perché non sempre i “terroristi” sono coloro che vengono additati come tali: talvolta i veri terroristi, come detto, sono spesso i regimi che li imprigionano, temendo la forza della libertà e della dignità.

Io non so, al di là del parallelismo, se Barghouti potrà mai essere il Mandela di Palestina. Ma sono convinto che la liberazione del leader palestinese potrebbe aprire una nuova pagina nel disastrato Medio Oriente che doni finalmente una patria al ‘popolo senza stato’. Per questo i suoi aguzzini lo tengono rinchiuso nelle loro segrete. Ma proprio per questo tutti coloro che aspirano a una pace basata sulla giustizia e non sulla sottomissione dovrebbero chiedere a gran voce la sua liberazione.

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