Israele continua a tenere Gaza sotto il fuoco, mentre il governo Netanyahu gioca una partita politica cinica e sanguinosa. Nonostante le voci su una presunta offensiva già iniziata contro Gaza City, le stesse fonti militari israeliane hanno definito le ultime operazioni come “preliminari”.
Ma intanto i bombardamenti proseguono e i civili pagano il prezzo più alto, come dimostrano le immagini delle tende colpite a Deir al Balah, dove erano accampati sfollati palestinesi.
Il premier Netanyahu ha ordinato di accelerare i piani per la conquista totale della città, incurante delle proteste interne e delle pressioni internazionali. In Israele oltre 400.000 persone sono scese in piazza chiedendo un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi ancora vivi. Un movimento che riflette la profonda spaccatura di un Paese stanco della guerra e diffidente verso la leadership del premier, accusato di trascinare il conflitto per sopravvivere politicamente e rimandare i propri processi.
Eppure, anche di fronte all’apertura di Hamas – che ha accettato una proposta di tregua di 60 giorni con la liberazione di 10 ostaggi – Netanyahu continua a prendere tempo, rinviando persino le riunioni di governo. Una tattica che sa di calcolo politico più che di strategia militare.
Molti analisti avvertono che un nuovo assalto a Gaza City non avrebbe alcuna utilità reale: non garantirebbe la liberazione degli ostaggi, aggraverebbe la catastrofe umanitaria e isolerebbe ulteriormente Israele a livello internazionale. Di fatto, la proposta accettata da Hamas ricalca quella che lo stesso governo israeliano aveva già valutato positivamente poche settimane fa. Procedere ora con una nuova escalation apparirebbe per quello che è: una mossa cinica, pagata con migliaia di vite innocenti.
Gaza è ormai ridotta a un cumulo di macerie, senza acqua, elettricità, medicine. Una prigione a cielo aperto bombardata ogni giorno. Eppure, Netanyahu sembra incapace di fermarsi: intrappolato nella sua stessa guerra, “immerso nel sangue” come scriveva Shakespeare, continua a trascinare con sé un’intera popolazione in un baratro senza via d’uscita.
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