Nel 1700esimo anniversario del Concilio di Nicea, il primo ecumenico, cioè di tutte le Chiese. Definì il credo niceano, che unì i cristiani archiviando alcune eresie. Recentemente papa Leone ha detto che “il Concilio di Nicea non è solo un evento del passato, ma una bussola che deve continuare a guidarci verso la piena unità visibile di tutti i cristiani”.
Papa Francesco voleva recarsi a Nicea, con i capi di molte altre chiese. Papa Leone ha fatto sua l’intenzione di Francesco ed è probabile che a fine a novembre si rechi a Nicea, nell’odierna Turchia. Poi di lì potrebbe compiere il suo primo viaggio apostolico, visitando il Libano. E’ una scelta molto importante e delicata perché il Libano è e sarà nel pieno della più complessa operazione politico-militare dalla fine della guerra civile, nel 1990: il disarmo di Hezbollah, la milizia khomeinista che è rimasta da allora la sola in armi, ha a lungo confiscato la politica nazionale di difesa, divenendo un autentico Stato nello Stato, o più forte dello Stato.
Ora, dopo la guerra con Israele che per indebolirla considerevolmente ma non definitivamente ha distrutto Beirut sud e il Libano meridionale, il nuovo Presidente della Repubblica e il nuovo governo hanno stabilito che la ricostruzione del Libano davvero sovrano deve partire dal monopolio da parte dello Stato delle armi. E’ già in atto il disarmo di gruppi minori, poi da settembre l’esercito presenterà un piano dettagliato su come procedere con Hezbollah, per un lavoro di confisca delle armi che dovrebbe completarsi entro l’anno.
Siamo dunque a un tornante storico per il piccolo Libano, difficilissimo e dall’esito incerto, che spera di tornare nella sua piena sovranità. Un cammino che non passa solo attraverso il disarmo di Hezbollah, ovviamente prioritario, ma anche per la ridefinizione di un quadro politico oggi bloccato da un confessionalismo paralizzante, che ha costruito e consegnato il Paese a una casta.
E’ qui che i cristiani, ancora determinanti per gli equilibri politici e culturali del paese, possono svolgere un ruolo decisivo. A lungo divisi tra alleati e avversari di Hezbollah, oggi sono chiamati a dare un contributo autonomo all’ammodernamento del Paese, partendo dal disastro economico in cui versa anche per colpa della casta di cui pezzi di establishment cristiano sono parte.
Divorato da un ceto dirigente autoreferente, il Libano ha bisogno di una svolto post-confessionale, di una base costruita sui diritti di cittadinanza, che potrebbe fungere da esempio a Paesi arabi vicini che stanno sprofondando in un confessionalismo preoccupante, a partire dalla vicina Siria.
Il Libano dunque è un nuovo laboratorio, può esserlo, nonostante la crisi profonda in cui è sprofondato. Superare il confessionalismo paralizzante è oggi un’urgenza seconda solo al disarmo di Hezbollah, e il governo del giurista di formazione europea, Nawaf Salam, appare come la migliore garanzia. Ma le resistenze sono tante. Le incrostazione feudali, il tribalismo, sono forze che si oppongono alla ridefinizione di un Libano-messaggio di coesistenza tra comunità e individuo.
Il premier ha accennato all’attuazione integrale della Costituzione libanese, che prevede non una sola Camera, eletta su base settaria, cioè con divisione certa dei seggi tra le diverse comunità religiose, ma due Camere: una eletta così e l’altra eletta su base politico-partitica, come si vota da noi. In questo modo le comunità avrebbero le dovute garanzie di non essere escluse o discriminate e le persone avrebbero i loro diritti. La rifondazione di partiti interconfessionali archivierebbe l’epoca della chiusura in ghetti identitari, stabilendo legami tra maroniti, ortodossi, sunniti e sciiti che hanno la stessa idea politica, progressista o conservatrice che sia.
Il Libano dunque può essere il terreno di coltura di quella cittadinanza per cui papa Francesco e la Chiesa cattolica tanto si sono spesi, per archiviare sistemi che anchilosano il confronto e la politica arabi.
La visita del papa arriverà dunque in momento strategico, se il viaggio fosse confermato. La voce della Chiesa di Roma, il suo messaggio per la cittadinanza, rafforzerebbero certamente la spinta verso la cultura del vivere insieme, la cultura dei legami, che serve al Libano per tornare a essere davvero il messaggio di cui parlò tanto tempo fa Giovanni Paolo II, non una sommatoria di cantoni chiusi agli altri.
Si tratta di sfide enormi ma di valenza non solo libanese ma regionale. Un viaggio con questo calendario, cui ha fatto cenno il patriarca maronita Beshara Rai, darebbe alla scelta di papa Leone il sapore di un possibile impulso a rifondare il Mediterraneo.