I giornalisti italiani che ripetono la propaganda israeliana tradiscono Gaza, i colleghi caduti e l’informazione libera
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I giornalisti italiani che ripetono la propaganda israeliana tradiscono Gaza, i colleghi caduti e l’informazione libera

Capita di intercettare giornaliste e giornalisti italiani che, con disinvoltura, sui social, etichettano come terroristi o fiancheggiatori dei terroristi di Hamas le giornaliste e i giornalisti uccisi dai militari di Israele

I giornalisti italiani che ripetono la propaganda israeliana tradiscono Gaza, i colleghi caduti e  l’informazione libera
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26 Agosto 2025 - 21.30


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Capita di intercettare giornaliste e giornalisti italiani che, con disinvoltura, sui social, etichettano come terroristi o fiancheggiatori dei terroristi di Hamas le giornaliste e i giornalisti uccisi dai militari di Israele perché non vedano, non sentano e non raccontino.

In post, sempre più violenti, dspavaldi, cattivi e spregioudicati, passa la narrazione estremista di vedere nel giornalista con impresso PRESS sulla pettorina, una, uno che non può che essere un tutt’uno col terrorismo. Qualcuno si spinge oltre, alzando l’indice contro i nostri giornalisti e le nostre giornaliste: anche loro praticamente affiliati ad Hamas solo se raccontano che Israele ha sparato su un ospedale o sui bambini in fila.

Si, perchè capita di leggere sui social di giornaliste e giornalisti italiani che gli ostaggi rapiti da Hamas lì si nascondono, nel Nasser Hospital di Gaza. Ci sta, dunque, se sparano contro l’ospedale, ci sta che possono morire giornalisti che facendo il loro mestiere, tra le macerie e i corpi a pezzi – non in hotel, pronti allo stand up – corrono dove c’è stata una strage finendo anche loro vittime della strage per quei maledetti missili fatti apposta per colpire in due tempi, morti su morti.

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Ah, in questa narrazione – come da estremismo israeliano e come vuole suggerire il Mossad – la fame è solo una invenzione di Hamas, i morti non sono poi così tanti, e i bambini, peggio per loro se i padri resistono a quanti vorrebbero strappare la terra al loro futuro. E poi, come detto a chiare lettere, senza pudore, da esponenti del governo Netanyahu, un bambino che muore è un futuro terrorista in meno.

Ecco, è scandaloso che giornaliste e giornalisti – nel nostro caso italiani – sposino questa narrazione sulla pelle ( a brandelli ) delle colleghe e dei colleghi che vogliono raccontare quel che si consuma a Gaza.

Superando ogni limite di decoro, si arrivano a condividere, dall’interno della Rai, giudizi trancianti sui servizi della Rai, e commenti su colleghi e/o colleghe dai toni che alla fine risultano pericolosi perché mettono nel mirino – si spera solo delle critiche – chi ha avuto l’ardire di raccontare.

In ultimo, ad essere presa di mira, una giornalista Rai colpevole di aver raccontato una cosa che anche i bambini di Paesi lontani e in pace sanno: che ai palestinesi vengono tagliati gli ulivi, per compromettere il futuro e la sopravvivenza delle famiglie palestinesi.

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Disturbano i toni, così orribilmente offensivi della tragedia che si sta consumando in quel fazzoletto insanguinato di terra. Offensivi per i palestinesi, offensivi per le vittime del 7 ottobre; offensivi per le famiglie che aspettano i loro cari, od anche solo i corpi dei loro cari.

E tutto accade come se fosse normale, quasi si assiste ad una corsa a chi la scrive o la condivide più grossa. E sembra non esistere un Ordine professionale, si intravede un Servizio Pubblico, ma appare senza regole di navigazione. Vale e vince il calcolo personale di chi, magari, vuole ingraziarsi qualcuno, o una comunità.

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