Gaza riviera: un piano di pulizia etnica a danno dei palestinesi mascherato da sviluppo economico
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Gaza riviera: un piano di pulizia etnica a danno dei palestinesi mascherato da sviluppo economico

Un piano che circola alla Casa Bianca per sviluppare la cosiddetta “Riviera di Gaza” come una catena di megacittà hi-tech è stato definito un progetto “folle”, volto a mascherare una vasta operazione di pulizia etnica della popolazione palestinese.

Gaza riviera: un piano di pulizia etnica a danno dei palestinesi mascherato da sviluppo economico
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2 Settembre 2025 - 11.04


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Un piano che circola alla Casa Bianca per sviluppare la cosiddetta “Riviera di Gaza” come una catena di megacittà hi-tech è stato definito un progetto “folle”, volto a mascherare una vasta operazione di pulizia etnica della popolazione palestinese.

Domenica il Washington Post ha pubblicato un prospetto trapelato che illustra il piano: esso prevederebbe lo sfollamento forzato dei 2 milioni di abitanti della Striscia e la trasformazione del territorio in un protettorato sotto amministrazione statunitense per almeno un decennio.

Il progetto, denominato Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation Trust (GREAT), sarebbe stato elaborato da alcuni degli stessi israeliani che hanno promosso la Gaza Humanitarian Foundation, con il contributo di consulenza finanziaria del Boston Consulting Group.

L’aspetto più controverso del documento, lungo 38 pagine, è la proposta di “ricollocazione temporanea” dell’intera popolazione di Gaza: una misura che equivarrebbe a pulizia etnica e che potrebbe configurare un atto genocidario. Ai palestinesi verrebbe offerta la “partenza volontaria” verso altri Paesi o la sistemazione in zone ristrette e controllate durante la ricostruzione. I proprietari di terreni riceverebbero un “token digitale” in cambio dei diritti di sviluppo delle loro proprietà, da usare per finanziare una nuova vita altrove. Chi decidesse di restare, invece, verrebbe alloggiato in unità abitative minuscole, di appena 30 metri quadrati.

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Non è chiaro se questo piano rifletta realmente la politica ufficiale di Washington: né la Casa Bianca né il Dipartimento di Stato hanno commentato. Tuttavia, il prospetto sembra richiamare più volte l’intenzione dichiarata da Donald Trump di “ripulire” Gaza e ricostruirla a suo piacimento.

Philip Grant, direttore di Trial International, ONG per i diritti umani con sede in Svizzera, ha definito il progetto “un piano di deportazione di massa mascherato da sviluppo economico: un caso da manuale di crimini internazionali su scala immaginabile – trasferimento forzato di popolazione, ingegneria demografica, punizione collettiva”. Secondo l’organizzazione, chiunque prenda parte all’esecuzione del piano, comprese imprese private, rischierebbe gravi responsabilità penali per decenni.

Perfino la stampa israeliana ha accolto il progetto con scetticismo: Haaretz lo ha descritto come “uno schema arricchisciti-in-fretta in stile Trump, basato su crimini di guerra, intelligenza artificiale e turismo”.

Il prospetto, sottotitolato “Da una roccaforte iraniana distrutta a un prospero alleato abramitico”, appare redatto da persone senza conoscenza reale né di Gaza, né della politica mediorientale, né delle difficoltà di trasformare la Striscia in un hub miliardario del turismo e della tecnologia, che finirebbe per competere con Israele.

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Il progetto, da 100 miliardi di dollari e teoricamente senza finanziamenti statunitensi, immagina una città portuale attraversata da un canale e circondata da otto megacittà verdi e tecnologiche, sul modello del problematico progetto saudita Neom. È prevista anche un’area industriale in stile “Elon Musk”, situata ironicamente sulle rovine della zona industriale di Erez, distrutta in passato dalle stesse forze israeliane.

L’analisi delle mappe suggerisce che il piano comporterebbe anche l’espropriazione di gran parte delle terre agricole di Gaza, localizzate lungo il confine con Israele, per creare una fascia di sicurezza israeliana.

Ancora più grave è la parte giuridica: il documento non distingue tra Gaza, Israele ed Egitto in termini di sovranità, ignorando completamente l’autodeterminazione palestinese. Israele manterrebbe vaghi “diritti sovraordinati” per motivi di sicurezza; non vi sarebbe uno Stato palestinese, ma una vaga “entità politica palestinese” da includere negli Accordi di Abramo.

Il linguaggio del piano appare studiato per attrarre l’ego di Donald Trump, Elon Musk e del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

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Il Boston Consulting Group ha fatto sapere che il lavoro sul documento non era stato approvato e che i due partner senior responsabili della pianificazione finanziaria sono stati licenziati.

Secondo H.A. Hellyer, analista del Royal United Services Institute, i dettagli del progetto sono talmente assurdi da non poter essere presi sul serio, se non per il fatto che riflettono un obiettivo ben chiaro: impedire qualsiasi sovranità palestinese a Gaza.

Anche Katherine Gallagher, avvocata del Center for Constitutional Rights di New York, ha avvertito che qualsiasi impresa coinvolta rischierebbe pesanti responsabilità legali a livello nazionale e internazionale.

Il prospetto è trapelato pochi giorni dopo un incontro alla Casa Bianca in cui Donald Trump ha discusso la “fase del dopo” Gaza, alla presenza dell’ex premier britannico Tony Blair e del genero Jared Kushner.

Il piano è stato respinto anche da Hamas: “Gaza non è in vendita – ha dichiarato un dirigente, Basem Naim – Gaza fa parte della più ampia patria palestinese”.

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