C’è qualcosa di malato, di morboso, nel comportamento genocidiale di Benjamin Netanyahu. Il richiamarsi costantemente al Vecchio Testamento, saccheggiandolo perfino per denominare le operazioni militari dell’Idf (“Carri di Gedeone 1 e 2”etc) o i riferimenti storici. Una mania di grandezza compulsiva, che nella storia ha tragici precedenti, anche in rapporto alla tragedia più devastante per il popolo ebraico.
La visione di Netanyahu di Israele come “Super Sparta” significa assedio eterno
Così un editoriale di Haaretz: “Mentre i leader di Iran, Arabia Saudita, Giordania, Egitto e i rappresentanti di altri membri della Lega Araba e dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica si riunivano a Doha per un vertice straordinario in seguito al tentativo di Israele di assassinare la delegazione negoziale di Hamas nella capitale del Qatar, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presentato l’isolamento di Israele come una sorta di destino ineluttabile. In un discorso rivolto ai funzionari del Tesoro, il primo ministro ha ammesso che Israele si trova “in una sorta di isolamento”, suggerendo che il Paese si comporti come Sparta, trasformando la sua economia e la sua società in una macchina da guerra.
Netanyahu non sta solo cercando di giustificare un fallimento diplomatico e di sicurezza, ma anche di conferirgli un’aura ideologica. Tuttavia, contrariamente alle sue spiegazioni populiste, questo isolamento non è il risultato delle “campagne del Qatar” o dell’opera delle “minoranze islamiche bellicose” in Europa occidentale, ma delle politiche del suo governo. Invece di ascoltare gli avvertimenti dei partner di Israele e il messaggio inequivocabile della comunità internazionale, ovvero restituire gli ostaggi, fermare la distruzione a Gaza e promuovere una soluzione diplomatica, Netanyahu sta sostenendo la necessità di una vita sotto assedio eterno.
Invece di rassicurare l’opinione pubblica e promettere che farà tutto il possibile per porre fine all’isolamento diplomatico, ha accennato a nuove e vaghe minacce. “Anche quando si abbatte un certo potere, altre forze vengono alla ribalta… Non farò nomi”. Pensate voi stessi a quali siano i rischi”, ha detto. Quando parole del genere vengono pronunciate sullo sfondo di un vertice internazionale, non ci sono limiti all’immaginazione e all’irresponsabilità di “Mr. Sicurezza”.
L’isolamento non riguarda solo il mondo esterno. L’insistenza di Netanyahu nell’espandere l’operazione di terra a Gaza, in contrasto con le posizioni del capo di stato maggiore dell’Idf e degli alti funzionari della Difesa, evidenzia la gravità della frattura. Mentre l’esercito avverte che un’avanzata in profondità a Gaza metterebbe in pericolo la vita degli ostaggi e coinvolgerebbe Israele in una battaglia senza fine contro una forza di guerriglia urbana, il primo ministro è determinato ad “accelerare l’operazione”.
Domenica si è inoltre appreso che, secondo il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, il Primo Ministro non sta nemmeno fornendo all’Idf un obiettivo chiaro per questa operazione. Non si può sopravvalutare la gravità e il pericolo di una tale frattura con il mondo e con l’esercito.
Sparta non è un modello che un Paese che abbraccia la vita dovrebbe emulare. Chiunque desideri trasformare Israele in una Sparta sta conducendo il Paese verso il disastro. Gli israeliani dovrebbero ascoltare le parole rivolte loro domenica dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi da Doha: “Ciò che sta accadendo ora sta danneggiando il futuro della pace, minacciando la vostra sicurezza e quella delle persone in questa regione, bloccando ogni possibilità di nuovi accordi di pace e danneggiando quelli esistenti con i paesi della regione”.
Invece di alzare le mura del ghetto, Israele deve fare il contrario. Deve firmare un accordo sugli ostaggi, porre fine alla guerra, accettare un partenariato regionale, ascoltare il mondo e accettare la sua disponibilità a garantire il ‘giorno dopo a Gaza”.
Donald Trump sarà ricordato come il salvatore del peggior governo che Israele abbia mai avuto
Uzi Baram è memoria storica d’Israele. Per il suo alto profilo politico e per essere stato testimone diretto e partecipe di alcuni momenti che hanno fatto la storia d’Israele. Baram, che fu tra i più stretti collaboratori e amico fidato di Yitzhak Rabin, non è uso a interviste o ad uscite pubbliche. Non è un malato di esposizione mediatica. Quando si espone, lo fa perché avverte che il Paese che ha servito per una vita, oggi sta precipitando nel baratro dell’abiezione trascinato da un governo guidato da un criminale di guerra e da ministri fascisti. Il tutto con l’attivo sostegno del sodale di Netanyahu alla Casa Bianca: Donal Trump. Colui che ha avuto la sfrontatezza, di fronte al genocidio attuato a Gaza, di definire Netanyahu un “eroe di guerra2 e un “brav’uomo”.
Scrive Baram su Haaretz: “La storia ha sorriso alla destra israeliana. Ha prodotto un presidente americano volubile e superficiale che, in segreto, crede di essere l’emissario di Dio sulla Terra. I suoi metodi di lavoro non hanno nulla dell’aura clandestina che avvolgeva i presidenti precedenti. Tutto è alla luce del sole. La superpotenza è gestita in diretta. Tutti vedono ciò che Trump dice, a volte con determinazione, altre con ineluttabile ineloquenza.
Il suo sostegno al governo di Benjamin Netanyahu lo pone in conflitto con i propri interessi, che includono la pace in Medio Oriente e la promozione degli Accordi di Abramo. Il suo animo desidera ardentemente essere l’eroe che combatte il “terminator” che mette in pericolo l’esistenza del suo Paese. I conservatori israeliani hanno iniziato a parlare “alla Trump”, come si evince da un articolo di Ariel Plaksin sul quotidiano Israel Hayom, in cui si piange l’omicidio di Charlie Kirk abbracciando i suoi messaggi razzisti.
Il campo conservatore israeliano sta iniziando a nutrire dubbi sulla legittimità della comunità LGBTQ e delle azioni positive e forse anche sull’importanza dei vaccini. La destra religiosa americana, di natura complottista, sta abbracciando la destra israeliana che sa bene che, senza Trump, Israele sarebbe il Sudafrica del XXI secolo, né più né meno.
David Ben-Gurion non ha mai raggiunto il livello di Trump in termini di abilità televisiva, ma sapeva bene come si fonda uno Stato e come se ne può preservare l’esistenza. Spesso ripeteva che la forza di Israele si basa sul potere delle Forze di Difesa israeliane e sulla nostra statura internazionale. Il potere dell’Idf è ancora un grande punto interrogativo. Non abbiamo dimostrato intraprendenza a Gaza o in altri ambiti nell’uso combinato di fanteria e corazzate in combattimento. Abbiamo invece dimostrato di avere un’aviazione eccezionale. Un’aviazione con un esercito, non un esercito con un’aviazione.
La nostra posizione internazionale è al minimo storico. Ho rappresentato Israele in diversi paesi del mondo e più di una volta siamo stati oggetto di dure critiche. Ma siamo sempre stati considerati una democrazia basata su valori solidi, che lotta ferocemente per la propria esistenza rimanendo salda. Ora, però, siamo tra i paesi più denigrati al mondo. I nostri cittadini hanno paura ogni volta che vanno all’estero. Qui in patria ci stanno vendendo la falsa affermazione che il mondo intero sia colpevole di antisemitismo e che noi stiamo solo rispondendo alla vergogna del 7 ottobre.
Se Trump non fosse il presidente degli Stati Uniti, saremmo stati espulsi dalla comunità internazionale. Saremmo stati espulsi dall’Onu ed esclusi da tutte le attività sportive e culturali in tutto il mondo. Abbiamo il lusso di censurare le immagini di Gaza e sostenere che la carestia sia solo una “campagna” e che le uccisioni e le distruzioni siano solo parte di una guerra difensiva. In una situazione del genere, Itamar Ben-Gvir, il più grande istigatore contro Yitzhak Rabin, può affermare che sono i leader di destra a essere nel mirino degli assassini. Ben-Gvir, seguace di Meir Kahane e infangatore del nome di Israele, sta cercando di diventare un nuovo Martin Luther King.
Quando un presidente americano lo permette, il giornale Israel Hayom può pubblicare un titolo sulla risoluzione dell’ONU riguardante uno Stato palestinese, definendola una “vergognosa marcia della follia”: la follia non è il proseguimento di una guerra che è finita da tempo e l’abbandono degli ostaggi al loro destino. Il primo ministro Benjamin Netanyahu sta persino minacciando l’Egitto e la Turchia. Non gode del sostegno della popolazione israeliana. Ha un solo salvatore: Donald Trump, che merita di essere ricordato per sempre per il suo sostegno al peggior governo che Israele abbia mai avuto”, conclude Baram.
Parole, le sue, da scolpire nella pietra.