"Il diavolo non vincerà": come Charlie Kirk è diventato un martire del movimento nazionalista cristiano
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"Il diavolo non vincerà": come Charlie Kirk è diventato un martire del movimento nazionalista cristiano

Phoenix, Arizona. Fuori dalla sede di Turning Point Usa, l'organizzazione fondata da Charlie Kirk, un flusso costante di visitatori lascia fiori appassiti, candele accese e croci di legno improvvisate.

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20 Settembre 2025 - 20.13


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Phoenix, Arizona. Fuori dalla sede di Turning Point Usa, l’organizzazione fondata da Charlie Kirk, un flusso costante di visitatori lascia fiori appassiti, candele accese e croci di legno improvvisate. È il 19 settembre, due giorni dopo la morte di Kirk, e l’aria calda del deserto sembra carica di un lutto che va oltre il personale: qui, in questa polverosa periferia della politica americana, si sta scrivendo un capitolo nuovo nel libro del nazionalismo cristiano.

Un uomo spinge una croce su ruote lungo il marciapiede, come un pellegrino in un calvario moderno. Altri pregano in silenzio, o mormorano versetti biblici. “Il sangue dei martiri è il seme della chiesa”, recita un cartello sbiadito dal sole.

Charlie Kirk non è morto da eroe qualunque. A 31 anni, il fondatore di Turning Point USA – un tempo un prodigio repubblicano con un’aria da boy scout e un debole per il libero mercato – è stato trasformato, nel giro di poche ore, in un’icona per i guerrieri spirituali della destra americana. La sua uccisione, avvenuta in circostanze ancora avvolte nel mistero (le indagini puntano a un movente politico, forse legato alle sue crociate contro il “wokeismo”), ha acceso una miccia.

Non solo tra i suoi seguaci, ma in un movimento che vede nel suo sangue versato la prova di una guerra santa imminente. “Hanno idea di cosa hanno appena acceso in questa moglie”, ha scritto Erika Kirk, la vedova, in un post su Instagram che ha raccolto milioni di visualizzazioni. “Il mondo è malvagio, ma Dio è così buono. Il suono di questa vedova che piange riecheggia in tutto il mondo come un grido di battaglia”.

Per Erika, e per molti altri, la morte di Kirk non è una tragedia isolata. È un atto di accelerazionismo divino: un evento che spinge il conflitto tra luce e tenebre verso il culmine. Jeff Sharlet, autore di libri sul cristianesimo radicale come The Family e Jesus and John Wayne, lo spiega con parole secche: “È guerra santa, è accelerazionismo, ed è incredibilmente potente”.

In un’America divisa, dove il trumpismo si fonde con la teologia apocalittica, Kirk non era solo un influencer conservatore. Era un ponte tra il pulpito e il palcoscenico politico, un uomo che ha reso digeribile – persino cool – l’idea che i cristiani debbano conquistare non solo le urne, ma le “sette montagne” della cultura: governo, istruzione, media, famiglia, religione, economia e intrattenimento.

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La traiettoria di Kirk è quella di un climber ambizioso che ha scalato le vette sbagliate. Nato nel 1993 a un sobborgo di Chicago, Kirk ha abbandonato l’università dopo un semestre alla Harper College, troppo impaziente per i banchi di scuola.

A 18 anni, nel 2012, ha cofondato Turning Point USA con un miliardario repubblicano, Bill Montgomery. L’idea era semplice: un network studentesco per difendere il capitalismo contro i “socialisti” nei campus. All’inizio, era roba da Tea Party: dibattiti su tasse basse, deregulation e il mito del self-made man.

Ma il 2015 cambia tutto. È l’estate in cui Donald Trump scende la scala mobile dorata della Trump Tower, annunciando la sua candidatura. Per i conservatori evangelici, è un momento di crisi. “Era un punto basso per loro”, dice Matthew D. Taylor, studioso del nazionalismo cristiano al Center for the Study of Religion and American Culture. “C’era questo senso di ‘Quello che stiamo facendo non funziona. Abbiamo bisogno di qualcuno di forte. Di un combattente'”.

Kirk, che all’epoca aveva 22 anni, fiuta il vento. Inizia a corteggiare i pastori, a twittare su “battaglie spirituali” che minacciano “la cristianità e il modo di vivere americano” contro la sinistra e l’islam.

Non è una conversione improvvisa: Kirk non era un devoto sfegatato da ragazzo. Cresciuto in una famiglia cattolica tiepida, ha sempre visto la fede come un’arma politica più che un vincolo personale. Ma Trump gli offre il modello perfetto: un peccatore redento, un bullo con la Bibbia in mano.

Nel 2016, Turning Point USA schiera 500 attivisti nei sobborghi chiave della Pennsylvania e del Michigan, contribuendo – secondo i calcoli dell’organizzazione – a ribaltare quegli stati per Trump.

Da lì, l’ascesa è fulminea. Kirk diventa un fixture delle convention repubblicane, un oratore che mescola meme di QAnon con citazioni da Romanos. Al Cpca nel 2020, proclama: “Finalmente, abbiamo un presidente che capisce le sette montagne di influenza culturale”.

È un codice per i neofiti: il “mandato delle sette montagne”, un’idea nata dalla New Apostolic Reformation (Nar), un ramo carismatico del cristianesimo che vede i credenti come apostoli moderni incaricati di dominare la società.

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Non è teologia da megachiesa tradizionale – troppo esoterica, troppo militante. Ma Kirk la rende accessibile. “Le sette montagne sono una specie di teologia strana e da nerd”, osserva Sharlet. “Kirk la normalizza, la mainstreamizza, la leviga. Non era tanto che lui si unisse alla chiesa, quanto che lui trascinasse la chiesa nel Maga. E ha creato un nazionalismo cristiano da influencer, uno stile di vita che puoi adottare come performance senza dover cambiare troppo la tua esistenza”.

Prendete i suoi podcast, scaricati da milioni: episodi su come il “globalismo satanico” infesta Hollywood, o su come i vaccini Covid siano un complotto per marchiare i cristiani come bestie dell’Apocalisse.

O i suoi post su X, dove poco prima di morire twittava: “Nessuna civiltà è mai crollata perché pregava troppo”. Era un messaggio che riverberava nei corridoi di Capitol Hill, dove i legislatori repubblicani citavano Kirk nei discorsi sul “declino morale”.

E non era solo retorica: Turning Point ha formato migliaia di giovani, molti dei quali ora siedono in consigli scolastici, lottando contro i libri “woke” o imponendo preghiere nelle aule.

Ma il nazionalismo cristiano non è solo preghiere e patriottismo. È un’ideologia ambivalente verso la democrazia stessa. “Le sette montagne, come ideologia, sono profondamente ambivalenti sulla democrazia”, spiega Taylor. “Se la democrazia funziona e ti porta al potere, benissimo. Ma se no, beh, la volontà di Dio è ancora che i cristiani conquistino le sette montagne, e devono farlo con i mezzi che possono”.

È qui che entra il mito del martire. La morte di Kirk – un presunto attacco da parte di un attivista di sinistra, secondo le prime ricostruzioni – si inserisce perfettamente in questo schema. Pastori come Sean Feucht, che ha guidato un raduno di preghiera al Campidoglio nel 2021, lo celebrano come un seme piantato nel suolo fertile del risveglio.

“Sappiamo che il sangue dei martiri è il seme della chiesa”, ha dichiarato Feucht in un video virale. “Il diavolo non vincerà. Le forze vogliono che stiamo zitti, che ci chiudiamo… Dobbiamo essere più audaci”.

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Altri, come il pastore Matt Tuggle di una megachiesa californiana, vanno oltre. Sotto un video dell’uccisione di Kirk, ha scritto: “Se il tuo pastore non ti sta dicendo che la sinistra crede in un sistema di credenze malvagio e demoniaco, sei nella chiesa sbagliata!”.

È un invito alla vendetta spirituale, un richiamo a “combattere” non solo con le parole, ma con azioni che sfiorano la linea rossa. Ricorda Paula White-Cain, la televangelista che ha pregato per Trump nel 2020: una figura controversa, con tre matrimoni alle spalle e un vangelo della prosperità che i puritani evangelici bollerebbero come eresia.

Eppure, è proprio questa miscela di carisma low-brow e teologia da battaglia che ha reso il movimento irresistibile per gente come Kirk. “Era indipendente, carismatica, una predicatrice donna che predicava il vangelo della prosperità”, nota Taylor. “Molti marker che il mondo evangelico convenzionale etichettava come eresia o solo volgare”.

Ora, con Kirk morto, Turning Point USA è sull’orlo di una trasformazione. L’organizzazione, che ha raccolto oltre 100 milioni di dollari in donazioni dal 2016, potrebbe diventare un santuario per i “soldati di Cristo”.

Erika Kirk, che ha sposato Charlie nel 2021 dopo un corteggiamento lampo sui social, emerge come erede. I suoi post – un misto di salmi e meme trumpiani – hanno già triplicato i follower. “Non hanno idea di cosa hanno acceso”, ripete, e i commentatori di destra annuiscono: è il momento di “risvegliarsi e combattere”.

Ma questa martirizzazione non è priva di ombre. Critici come Sharlet avvertono che rischia di accelerare la polarizzazione, trasformando il lutto in un ciclo di violenza. “Kirk ha reso il nazionalismo cristiano performativo, qualcosa che puoi indossare come un cappello Maga senza sudare troppo”, dice. “Ora, con la sua morte, diventa reale. E il diavolo, dicono, non vincerà. Ma chi pagherà il prezzo?”.

Fuori dalla sede di Turning Point, la croce su ruote si ferma. Un gruppo di adolescenti prega in cerchio, le mani intrecciate. Sono i discepoli di Kirk, pronti a scalare le montagne.

In un’America dove la fede e la politica si fondono in un’unica fiamma, il suo fantasma potrebbe bruciare più a lungo di quanto immaginiamo.


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