Dieci Paesi occidentali riconoscono la Palestina: rischio isolamento per Israele e nuove tensioni globali
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Dieci Paesi occidentali riconoscono la Palestina: rischio isolamento per Israele e nuove tensioni globali

Australia, Canada, Regno Unito e altri Stati riconoscono la Palestina. Macron guida l’iniziativa. Israele minaccia annessioni in Cisgiordania, mentre cresce il rischio di sanzioni internazionali.

Dieci Paesi occidentali riconoscono la Palestina: rischio isolamento per Israele e nuove tensioni globali
Keir Starmer
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21 Settembre 2025 - 19.01


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Un’ondata di alleati di Israele sta annunciando il riconoscimento dello Stato di Palestina, come parte di una più ampia manovra volta a isolare Hamas e a contrastare i tentativi del governo israeliano di cancellare la possibilità di una patria palestinese.

Ma la mossa, delicata e in parte simbolica, da parte di circa dieci Stati, promossa in gran parte dal governo francese, rischia di innescare una spirale di ulteriori confronti, tra i timori che Israele risponda con l’annessione di parti della Cisgiordania. Ciò potrebbe portare a sanzioni commerciali europee e a un ulteriore isolamento politico di Israele, fino a un’eventuale sospensione dall’ONU.

La risposta israeliana è anche intrecciata con la questione se gli Stati Uniti approveranno un nuovo attacco all’Iran nelle prossime settimane per il suo programma nucleare.

I Paesi che si aggiungono alla lista dei 147 Stati membri ONU che riconoscono la Palestina sono Australia, Canada, Belgio, Francia, Regno Unito, Lussemburgo, Portogallo, Malta e, probabilmente, Nuova Zelanda e Liechtenstein.

Australia, Canada e Regno Unito hanno annunciato formalmente la decisione domenica. Gli altri faranno l’annuncio ufficiale lunedì, in una speciale conferenza ONU volta a rilanciare la soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese. Alcuni, tra cui il Regno Unito, hanno anticipato la dichiarazione per rispetto del capodanno ebraico. La conferenza è co-presieduta da Francia e Arabia Saudita, ma il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, a differenza del presidente francese Emmanuel Macron, non parteciperà.

Le dichiarazioni, formulate con diverse condizioni e accenti, riflettono le pressioni interne contrastanti cui sono sottoposti i governi, che devono affrontare sia le reazioni israeliane sia le proteste delle famiglie degli ostaggi, secondo cui la mossa equivarrebbe a premiare Hamas per l’attacco contro Israele del 7 ottobre 2023.

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António Guterres, segretario generale dell’ONU, ha invitato gli Stati a non lasciarsi intimidire dalle minacce israeliane di annessione di parti della Cisgiordania.

I ministri ammettono che le decisioni sono state innescate dall’orrore crescente a livello globale per la strategia israeliana a Gaza e, in particolare, dai piani israeliani di approvare nuovi insediamenti nell’area della Cisgiordania nota come corridoio E1, che taglierebbe in due il territorio e lo separerebbe da Gerusalemme Est.

Al centro del piano francese, ora pienamente sostenuto dagli Stati arabi, c’è l’idea di collegare il riconoscimento a un processo più ampio, che includa una riforma dell’Autorità Palestinese, democraticamente eletta, e che in caso di cessate il fuoco possa sostituire un Hamas disarmato e smantellato a Gaza.

Germania, Italia e alcuni Paesi baltici sono i principali contrari al riconoscimento, ma cresce la pressione anche all’interno della coalizione italiana, disposta a rischiare l’ira degli Stati Uniti.

Macron, identificato da Israele come la forza trainante dietro l’ondata di riconoscimenti, è intervenuto sull’emittente israeliana Channel 12 per avvertire che “l’approccio del vostro governo, e di alcuni ministri in particolare, è quello di distruggere la possibilità di una soluzione a due Stati”.

Ha detto che “è stata creata un’emergenza” a causa della costruzione di nuovi grandi insediamenti, il che significa che il mondo “è all’ultimo minuto prima che la proposta di due Stati diventi del tutto impossibile”. Ha insistito che il riconoscimento non è una ricompensa per Hamas, dal momento che il gruppo vuole uno Stato islamico e la distruzione di Israele, cose che una soluzione a due Stati escluderebbe.

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Stati Uniti e Israele hanno boicottato gli incontri preparatori della conferenza ONU di lunedì sulla soluzione dei due Stati. Al centro della divergenza c’è la convinzione israeliana che l’Autorità Palestinese, guidata dall’86enne presidente Mahmoud Abbas, non potrà mai essere un partner credibile per la pace.

Il Dipartimento di Stato americano ha cercato di impedire ad Abbas di parlare dal podio dell’ONU a New York negando i visti alla delegazione palestinese, una mossa che ha portato a un voto di 145 a 5 all’Assemblea Generale per consentirgli di intervenire in videocollegamento. Il suo discorso sarà seguito con attenzione per verificare se approfondirà gli impegni di riforma già presi con Macron o se si limiterà a denunciare quello che considera un genocidio israeliano a Gaza.

I ministri occidentali riconoscono che il principale punto debole del loro piano, oltre alla mancanza di sostegno israeliano, è la scarsa leva che hanno sulla riforma dell’Autorità Palestinese e sul disarmo di Hamas.

Ma i francesi sostengono che la mossa ha già portato a concessioni da parte di Abbas sulla deradicalizzazione e alla sua condanna dell’attacco del 7 ottobre come atto terroristico.

Macron afferma che il piano per il futuro prevede il dispiegamento di una forza internazionale a mandato ONU per garantire la sicurezza di Gaza e accelerare la formazione di una polizia locale, con verifiche condivise da Israele. Le sue proposte sono state respinte da Netanyahu.

Macron si è offerto di recarsi in Israele per spiegare la posizione francese, ma Netanyahu ha risposto che prima avrebbe dovuto ritirare la proposta di riconoscimento. Ciò ha spinto Macron ad avvertirlo che l’attuale offensiva contro Gaza City non raggiungerà lo scopo e minerà solo la posizione internazionale di Israele.

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Ha avvertito che “l’ultima operazione israeliana sta causando così tante vittime civili da distruggere completamente l’immagine e la credibilità di Israele, non solo nella regione ma nell’opinione pubblica globale”.

Ha aggiunto che il rischio è che “Hamas diventi la ragione per non contraddire mai il vostro primo ministro e i vostri ministri, anche quando prendono decisioni folli. Io sono allo 0% con il governo israeliano [quando] dice che la risposta è costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania o spostare popolazioni a Gaza”.

Nel tentativo di mantenere in vita l’agenda di riforma dell’ANP, Francia, Arabia Saudita, Norvegia e Spagna stanno cercando di bloccare i tentativi israeliani di mandare in bancarotta l’Autorità Palestinese, trattenendo miliardi di dollari dovuti. Il quartetto sta mobilitando i Paesi per un pacchetto di aiuti d’emergenza volto a prevenire il collasso dell’ANP, con l’obiettivo di raccogliere oltre 200 milioni di dollari nei prossimi sei mesi.

Una nuova annessione in Cisgiordania metterebbe sotto particolare pressione gli Emirati Arabi Uniti, che nel 2020 guidarono la normalizzazione dei rapporti con Israele attraverso gli Accordi di Abramo. Gli Emirati hanno dichiarato che l’annessione è una linea rossa che farebbe saltare la prospettiva di integrazione regionale e hanno anche protestato per il bombardamento del Qatar da parte di Israele avvenuto all’inizio di questo mese.


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