Donald Trump ha usato il podio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per mettere in scena un discorso che, per toni e contenuti, ha suscitato indignazione e preoccupazione. Nel giro di pochi minuti, l’ex presidente americano ha negato l’esistenza della crisi climatica, scagliato un violento attacco contro i migranti in Europa, accusato la Cina di inquinare il pianeta, deriso le energie rinnovabili e perfino rivendicato il Premio Nobel per la Pace.
“Il cambiamento climatico è la più grande truffa mai perpetrata al mondo”, ha dichiarato Trump, liquidando le politiche ambientali come un “green scam” e irridendo i progetti di energia pulita che, a suo dire, condannerebbero interi Paesi al fallimento. Un’affermazione che ribalta decenni di dati scientifici e che conferma l’impronta negazionista di un leader che continua a fare del rifiuto della scienza una bandiera politica.
Non meno allarmanti le parole dedicate all’immigrazione. Rivolgendosi ai Paesi europei, Trump ha esortato a “mettere fine al fallimento delle frontiere aperte”, avvertendo che “i vostri Paesi stanno andando all’inferno”. Ha parlato di “agenda globalista delle migrazioni” e ha rivendicato i suoi metodi di detenzione e deportazione come modello da seguire. Un linguaggio duro, intriso di xenofobia, che ripropone la visione di una fortezza assediata da nemici esterni e che alimenta paure e divisioni.
Trump non ha risparmiato neppure l’Onu, accusata di essere inefficace e incapace di affrontare i conflitti internazionali. “Tutto quello che sanno fare è scrivere lettere piene di parole vuote”, ha detto, rivendicando di aver “fatto cessare sette guerre” e chiedendo per sé stesso il Nobel per la Pace. Una narrazione autoreferenziale, non suffragata dai fatti, che riduce la diplomazia multilaterale a un ostacolo e celebra invece il mito del leader solitario che “fa la storia”.
Il discorso di Trump all’Onu ha il sapore di un manifesto: razzista nell’attacco ai migranti, negazionista nella derisione della crisi climatica, imperialista nell’idea che solo l’America — la sua America — possa decidere i destini del mondo. È l’ennesima conferma di una linea politica che non solo divide ma mette a rischio la cooperazione internazionale, rilancia conflitti e mina la fiducia nelle istituzioni globali.
Per gli Stati Uniti e per il mondo, il messaggio che arriva da New York è chiaro: se il trumpismo torna a dominare la scena, le sfide del XXI secolo — dalla crisi climatica alle migrazioni — rischiano di essere affrontate non con soluzioni condivise, ma con muri, insulti e negazioni. E questo è ciò che rende Trump non solo un leader divisivo, ma un pericolo concreto per la democrazia americana e per l’equilibrio globale.
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