Donald Trump torna ad attaccare l’Fbi, sostenendo che il 6 gennaio 2021, durante l’assalto a Capitol Hill, l’agenzia avesse infiltrato 274 agenti che avrebbero agito come “agitatori e insorti”. Secondo lui, dunque, la responsabilità della violenza non sarebbe da attribuire ai suoi sostenitori, ma a una presunta operazione orchestrata dallo Stato federale.
Questa nuova offensiva rientra nella strategia di Trump di rovesciare la verità storica sul 6 gennaio, trasformando in un complotto ciò che è stato il frutto diretto e innegabile delle sue menzogne sulle elezioni “truccate”. Con un linguaggio sempre più autoritario, Trump tenta di riscrivere la realtà, negando la responsabilità politica e morale che lo lega all’assalto al Congresso.
Dopo aver fatto incriminare l’ex direttore dell’Fbi James Comey – bersaglio del suo rancore per le indagini sul Russiagate – Trump sta ora utilizzando i due fedelissimi che ha insediato al vertice dell’Fbi: Kash Patel come direttore dell’Fbi e Dan Bongino come vicedirettore.
L’obiettivo è chiaro: negare i fatti, costruire un depistaggio istituzionale e riscrivere la narrazione del 6 gennaio, capovolgendo vittime e carnefici.
Trump non si limita più ad attaccare i suoi oppositori: sta cercando di imporre un’interpretazione falsata della storia americana recente, con i tratti tipici di un potere che non riconosce limiti né regole.