Keir Starmer ha attaccato il piano di Reform UK di deportare migliaia di persone che già vivono legalmente nel Regno Unito, definendolo “razzista” e “immorale”. Il primo ministro, a Liverpool per la conferenza del Partito Laburista, ha affermato che il Paese si trova davanti a una sfida generazionale con la destra populista.
Starmer ha chiarito di non credere che il partito di Nigel Farage cerchi di attrarre i razzisti, riconoscendo che molti elettori tentati da Reform sono frustrati e desiderosi di cambiamento. Ma ha avvertito che la proposta della destra di abolire la principale via per ottenere la cittadinanza britannica rischia di “strappare il Paese in due”.
Reform si è impegnato ad abolire il permesso di soggiorno a tempo indeterminato (indefinite leave to remain), attualmente concesso a chi vive e lavora legalmente nel Regno Unito da almeno cinque anni e ai suoi familiari. Questo metterebbe a rischio decine di migliaia di persone che, pur essendo residenti legali, potrebbero essere deportate se non rispettassero nuove e rigide condizioni.
Intervistato dalla BBC, Starmer ha dichiarato:
«Sì, penso che sia una politica razzista. Penso che sia immorale. Va chiamata per quello che è».
E ha aggiunto: «Una cosa è dire che bisogna rimpatriare i migranti illegali, persone che non hanno diritto a restare. Sono d’accordo. È invece completamente diverso dire che vogliamo colpire persone che vivono qui legalmente e cominciare a espellerle. Sono i nostri vicini, lavorano nella nostra economia, fanno parte di chi siamo. Questo distruggerebbe il Paese».
Anche la ministra dell’Interno, Shabana Mahmood, ha fatto sapere che il governo potrebbe valutare criteri più severi per il rilascio del permesso di soggiorno a tempo indeterminato, includendo il contributo che i richiedenti danno alle comunità locali.
Parlando al Sun, Mahmood ha raccontato di essere ispirata dalla storia dei suoi genitori, arrivati nel Regno Unito dal Kashmir. «Credo che la possibilità di stabilirsi a lungo termine nel nostro Paese non debba basarsi solo sul lavoro svolto, sullo stipendio o sulle tasse pagate, ma anche sul contributo più ampio dato alle comunità», ha detto.
«I miei genitori, arrivati a Birmingham negli anni Settanta, non si sono limitati a lavorare. Si sono stabiliti, hanno contribuito alla vita della comunità locale, hanno fatto volontariato, hanno partecipato alla politica cittadina. Hanno fatto molto di più che semplicemente guadagnare uno stipendio».