Piano Trump per la fine della guerra di Gaza: l'impegno per lo stato di Palestina resta vago
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Piano Trump per la fine della guerra di Gaza: l'impegno per lo stato di Palestina resta vago

Dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dato il suo sostegno al piano di pace statunitense per Gaza, la domanda è ora se Hamas accetterà.

Piano Trump per la fine della guerra di Gaza: l'impegno per lo stato di Palestina resta vago
Netanyahu e Trump
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30 Settembre 2025 - 10.47


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Dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dato il suo sostegno al piano di pace statunitense per Gaza, la domanda è ora se Hamas accetterà.

Il movimento islamista si trova davanti a un dilemma: la proposta chiede di fatto la sua resa in cambio di benefici incerti. Un rifiuto, però, potrebbe spingere Washington a concedere a Israele ancora più margine nella sua offensiva devastante sulla Striscia.

Secondo il piano, Hamas dovrebbe deporre le armi in cambio della fine delle ostilità, di aiuti umanitari per la popolazione palestinese e della promessa di una ricostruzione del territorio, aspettative vitali per oltre due milioni di abitanti di Gaza.

L’offerta contempla soltanto un generico impegno, forse in futuro, verso la possibilità di uno Stato palestinese. Nell’immediato, Gaza passerebbe sotto controllo internazionale. Una forza di sicurezza straniera sarebbe dispiegata sul territorio, mentre un “Consiglio per la Pace” guidato da Donald Trump e dall’ex premier britannico Tony Blair supervisionerebbe amministrazione e ricostruzione. Le truppe israeliane resterebbero comunque schierate attorno alla Striscia.

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Trump e Netanyahu hanno annunciato l’accordo lunedì dopo un incontro alla Casa Bianca.

Il cessate il fuoco

La proposta prevede l’interruzione immediata delle ostilità. Entro 72 ore Hamas dovrebbe rilasciare tutti gli ostaggi ancora detenuti, vivi o morti. Attualmente i miliziani trattengono 48 persone, di cui 20 considerate vive da Israele. In cambio, Israele libererebbe 250 detenuti condannati all’ergastolo e altri 1.700 palestinesi arrestati dall’inizio della guerra, compresi donne e minori. Verrebbe inoltre stabilito lo scambio delle salme: 15 corpi di palestinesi per ciascun ostaggio restituito.

Il ritiro delle truppe

Il ritiro israeliano avverrebbe solo dopo il disarmo di Hamas e l’arrivo della forza internazionale di sicurezza. Israele manterrebbe comunque una “presenza di sicurezza perimetrale”, formula ambigua che potrebbe significare una zona cuscinetto all’interno della Striscia.

Il futuro di Hamas e di Gaza

Hamas sarebbe escluso dalla gestione politica del territorio e la sua infrastruttura militare, comprese le gallerie sotterranee, smantellata. Ai membri che accettassero di vivere pacificamente verrebbe concessa un’amnistia, mentre a chi volesse lasciare Gaza sarebbe permesso di farlo.

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La forza internazionale garantirebbe il disarmo e l’ordine, addestrando allo stesso tempo la polizia palestinese che dovrebbe subentrare nel controllo interno. L’Egitto ha dichiarato di essere già impegnato ad addestrare migliaia di agenti palestinesi.

Gli aiuti umanitari entrerebbero in grandi quantità sotto la gestione di enti internazionali neutrali come Nazioni Unite e Mezzaluna Rossa. Il piano stabilisce anche che non ci saranno espulsioni di massa e che sarà avviato un programma internazionale di ricostruzione a beneficio dei palestinesi.

L’amministrazione quotidiana sarebbe affidata a tecnocrati palestinesi, sotto la supervisione del “Consiglio per la Pace”, che avrebbe il controllo anche dei fondi per la ricostruzione, vero nodo del futuro di Gaza.

Autorità Palestinese e Stato

Il progetto prevede riforme dell’Autorità Nazionale Palestinese affinché, in futuro, possa assumere la guida della Striscia. L’ipotesi di uno Stato palestinese resta vaga: si parla solo di un possibile percorso verso l’autodeterminazione se le riforme andranno a buon fine e la ricostruzione procederà.

Le reazioni

Lunedì sera il premier del Qatar e il capo dell’intelligence egiziana hanno presentato il piano a Hamas, che ha promesso di valutarlo “in buona fede” prima di dare una risposta. Finora però il movimento ha sempre rifiutato il disarmo, rivendicando il diritto alla resistenza fino alla fine dell’occupazione israeliana.

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Diversi Paesi arabi, tra cui Egitto, Giordania, Indonesia, Pakistan, Turchia, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, hanno espresso sostegno alla proposta.

In Israele, invece, Netanyahu potrebbe dover affrontare opposizione all’interno della sua stessa coalizione ultranazionalista. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha già dichiarato che non accetterà alcuna presenza dell’Autorità Palestinese a Gaza né aperture verso uno Stato palestinese, minacciando la crisi di governo.

Netanyahu, però, sembra convinto che le riforme richieste all’ANP non si realizzeranno mai, rendendo così remota la prospettiva di una sua reale entrata in scena.


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