Il "dilemma" di Hamas: accettare la resa o rischiare l'occupazione israeliana

Il piano di cessate il fuoco di Trump pone Hamas di fronte a una scelta difficile: accettare la resa o rischiare l'occupazione israeliana

Il "dilemma" di Hamas: accettare la resa o rischiare l'occupazione israeliana
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Ottobre 2025 - 20.29


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Tra i giornalisti israeliani, Jack Khoury, firma storica di Haaretz, è tra quelli più addentro alla realtà palestinese. Ne scrive da anni, con analisi, reportage, focus sulle dinamiche politiche interne al variegato campo palestinese, che spesso anticipano scenari che poi si realizzano. 

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Il piano di cessate il fuoco di Trump pone Hamas di fronte a una scelta difficile: accettare la resa o rischiare l’occupazione israeliana

Scrive Khoury. “Il piano di cessate il fuoco proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per Gaza pone Hamas di fronte al dilemma più difficile dall’inizio della guerra.

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Da un lato, accettare il piano significa rinunciare all’ultima carta negoziale dell’organizzazione, gli ostaggi israeliani, e affidarsi a Trump, alla sua amministrazione e alla comunità internazionale affinché garantiscano effettivamente il ritiro completo delle forze militari israeliane da Gaza e istituiscano un organo amministrativo multinazionale fino a quando non sarà possibile creare una forza di sicurezza palestinese sostitutiva.

D’altra parte, rifiutare la proposta darebbe a Israele, con il sostegno degli Stati Uniti, un pretesto per continuare la distruzione sistematica di ciò che resta di Gaza, anche a costo della vita degli ostaggi israeliani, fino al completamento dell’occupazione di Gaza, al prezzo di altre migliaia di morti, feriti e sfollati.

Per Hamas – e, di fatto, per quella che oggi viene comunemente definita “la leadership palestinese” – accettare la proposta potrebbe significare un cessate il fuoco e qualche aiuto umanitario, in cambio del rilascio degli ostaggi e della liberazione dei prigionieri palestinesi, ma senza alcun quadro serio per la diplomazia futura.

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Subito dopo la conferenza stampa di Trump e Netanyahu, Mohammed Mardawi, alto funzionario di Hamas, ha dichiarato che il piano non era stato presentato all’organizzazione né ad alcun partito palestinese. Tuttavia, ha osservato che le sue clausole rispecchiano fedelmente la prospettiva di Israele.

Secondo Mardawi, la proposta di Trump mira a frenare il crescente slancio internazionale e il riconoscimento dello Stato palestinese, e le concessioni offerte sono superficiali e prive di garanzie. Al contrario, suggerisce una forma di governance poco chiara, sostenuta dal denaro, dai tecnocrati e dal continuo controllo totale da parte di Israele, a tempo indeterminato.

Non è la prima volta che i palestinesi si trovano di fronte a un simile bivio. In passato, anche quando i governi di Israele e degli Stati Uniti erano molto meno estremisti e conservatori, i palestinesi si sono trovati di fronte a dilemmi simili, sebbene con meno distruzione e spargimenti di sangue. Anche allora, i risultati sono stati spesso deludenti.

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Dagli accordi di Oslo degli anni ’90, passando per gli accordi successivi, fino al disimpegno unilaterale di Israele nel 2005, c’è un netto divario tra gli impegni di Israele e la loro effettiva attuazione.

Anche ora, una volta spogliata tutta la retorica, ai palestinesi, sia in Cisgiordania che a Gaza, non resta altro che scegliere tra un’occupazione “morbida” e una violenta e intransigente.

In pratica, ciò che Trump offre a Hamas si riduce a questo: consegnate gli ostaggi e vedremo quando e come vi daremo qualche tipo di processo politico. Al di là delle lodi a se stesso e alla sua squadra, con molte parole altisonanti, non c’è alcuna proposta concreta per un futuro quadro diplomatico per i palestinesi.

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Il presidente americano può sognare il Premio Nobel per la Pace, ma questo è tutto. Ai palestinesi di Gaza e della Cisgiordania non offre né una visione né l’inizio di un vero processo politico, né sfida l’opposizione totale di Netanyahu alla creazione di uno Stato palestinese.

In realtà, sia Hamas che l’Autorità Palestinese sono costretti a scegliere tra dominio straniero o un’occupazione a tempo indeterminato, senza alcun quadro chiaro.

Trump, nel frattempo, ha pubblicizzato il presunto sostegno dei leader arabi ai suoi editti e a quelli di Netanyahu, ignorando completamente la necessità di fornire alla leadership palestinese anche solo un minimo incentivo a perseguire riforme o cambiamenti positivi.

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Ma quando gli slogan vengono messi da parte, la posizione di Israele rimane invariata e Trump, in una familiare dimostrazione di narcisismo, cerca di avvolgerla nell’approvazione araba e internazionale costruita sul denaro, non sulla visione.

Ora Hamas deve decidere quale strada intraprendere”, conclude Khoury. Comunque sia, sarà una strada senza via d’uscita. 

Qualsiasi ostaggio liberato nell’ambito del piano di Trump diventerà un trofeo per Netanyahu

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Prezioso come sempre è il punto di vista di Zvi Bar’el. Che su Haaretz annota: “Tutto sommato, volevamo un matrimonio piccolo e modesto, senza banda musicale né effetti speciali. Avevamo invitato quarantotto persone, venti dei vivi e ventotto in bara: tutto qui. Doveva essere un accordo semplice, che avremmo potuto raggiungere nelle prime settimane di guerra se solo avessimo accettato allora di “rinunciare” a ciò a cui siamo stati costretti oggi. Ma l’appetito non sa quando è sazio. Bisognava vendicarsi ancora, abbattere altre torri, distruggere altre città, far morire altre migliaia di uomini, donne, bambini e anziani e realizzare altri sogni della “nostra Gaza”.

Volevamo, e vogliamo ancora, la guerra per il gusto della guerra. Durante i 24 mesi di tortura che gli ostaggi hanno dovuto sopportare, abbiamo pregato che Hamas non rovinasse il nostro meraviglioso viaggio, che non cedesse alle pressioni, che non si arrendesse, che continuasse semplicemente a combattere. Ha continuato, e così abbiamo fatto anche noi. 

Gli ostaggi sono morti o sono stati uccisi, i soldati sono caduti e si sono suicidati, mentre i paesi amici hanno rotto la loro alleanza con Israele, le aziende sono fallite, le famiglie sono state distrutte e la lebbra si è diffusa in tutto il paese. E attraverso tutto questo, abbiamo visto le orme del Messia, un segno dal cielo che annunciava che la vittoria completa era già arrivata. 

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Con astuzia, inganno e deliberata indifferenza, gli ostaggi sono stati trasformati in una “risorsa strategica” per il primo ministro e il suo gabinetto, la banda direttamente responsabile della loro scomparsa. Erano una risorsa non solo per Hamas, che li considerava nient’altro che merce di scambio per un accordo, ma anche per il governo Netanyahu, che ha trasformato il suo impegno a salvarli in un pretesto per continuare una guerra che avrebbe garantito l’integrità della coalizione.

Il governo ha assegnato una missione agli ostaggi vivi, morenti e morti. Mentre erano tenuti prigionieri a Gaza, avrebbero dovuto garantire la distruzione di Hamas e l’estinzione dell’idea di uno Stato palestinese, e ripulire Israele dal “disastro del disimpegno”. Hanno alimentato l’istinto vendicativo del polipo messianico, che aveva stabilito le sue filiali in Cisgiordania e alimentato il sogno dell’annessione. Gli ostaggi dovevano essere il mezzo con cui costruire  l’”eldorado immobiliare” a Gaza del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, il piatto d’argento della poesia di Nathan Alterman. 

“Pieni di stanchezza e inquietudine infinite, eppure la rugiada della loro giovinezza è ancora visibile sulle loro teste. Così stanno sull’attenti, senza dare alcun segno di vita o di morte”, ha scritto Alterman. Ma gli ostaggi si sono rifiutati di accettare la conclusione dell’immortale poesia e di dire umilmente alla nazione: “Noi siamo il piatto d’argento su cui è stato servito lo Stato ebraico”. Loro e le loro famiglie hanno mobilitato l’opinione pubblica israeliana e il presidente degli Stati Uniti, rifiutandosi di fungere da combustibile per il desiderio ardente di vendetta, di diventare “soldati sconosciuti” e di adempiere obbedientemente alla missione assegnata loro dalla “storia ebraica”.

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Ora, ci si aspetta che si assumano anche la colpa del terribile disastro che il buon e benevolo presidente americano sta portando sul Paese. A causa loro, la guerra finirà, l’esercito si ritirerà dalla Striscia di Gaza (ad eccezione del sacro perimetro), Gaza sarà ricostruita e l’Autorità Palestinese sarà la fonte di autorità per qualsiasi governo o amministrazione di ricostruzione a Gaza. Anche l’abominio chiamato Stato palestinese indipendente è tornato nel lessico.

Hamas continuerà ad esistere, perché il piano di Trump non ne prevede la distruzione. E, cosa peggiore di tutte, gli ostaggi causeranno il crollo del governo Netanyahu. Perché invece di un accordo rapido e umano, abbiamo un piano globale e visionario. Improvvisamente, abbiamo scoperto che Trump aveva preparato la sua lista degli invitati, che non conosciamo tutti e con molti dei quali non parliamo nemmeno. Da ogni angolo del mondo, dall’India al Kush, dal Pakistan all’Indonesia, arriveranno sostenitori per la celebrazione che era stata pianificata per il governo israeliano e che probabilmente sarà accettata da Hamas.

Se il piano verrà effettivamente attuato, emergerà ancora una volta che gli ostaggi non hanno finito il loro lavoro. Affamati, emaciati e distrutti, vivi o morti, se saranno liberati, dovranno ringraziare coloro che li hanno abbandonati per la tanto attesa liberazione, che possiamo solo sperare non venga silurata. Perché chi non ha voluto essere il “piatto d’argento” sarà ora chiamato a essere un trofeo da esibire con orgoglio da un governo di crimine e negligenza.”, conclude Bar’el.

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Così è. In questi tempi maledetti. 

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