"Trattati come terroristi": la brutalità israeliana raccontata dagli attivisti rilasciati della Flotilla
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"Trattati come terroristi": la brutalità israeliana raccontata dagli attivisti rilasciati della Flotilla

All’aeroporto di Fiumicino, sotto un cielo notturno che sembra portare con sé l’eco del Mediterraneo conteso, 18 italiani sono atterrati ieri sera con un volo Turkish Airlines, accolti da un’onda umana di familiari, amici e attivisti.

"Trattati come terroristi": la brutalità israeliana raccontata dagli attivisti rilasciati della Flotilla
Paolo De Montis
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5 Ottobre 2025 - 12.29


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All’aeroporto di Fiumicino, sotto un cielo notturno che sembra portare con sé l’eco del Mediterraneo conteso, 18 italiani sono atterrati ieri sera con un volo Turkish Airlines, accolti da un’onda umana di familiari, amici e attivisti.

Sono loro i sopravvissuti della Global Sumud Flotilla, la nave umanitaria intercettata dalle forze israeliane mentre tentava di sfondare l’assedio su Gaza portando aiuti essenziali: farina, medicine e un messaggio di solidarietà per un popolo sotto assedio.

Tra lacrime, abbracci e slogan come “Palestina libera”, il gruppo ha varcato le porte degli arrivi intorno alle 23.30. Ma il sollievo per essere tornati a casa è stato subito oscurato da una profonda amarezza.

“Siamo stati trattati come terroristi”, ha dichiarato Cesare Tofani, uno degli ex detenuti, con la voce incrinata dal ricordo. “Come trattano i palestinesi: celle sovraffollate, acqua rancida, cibo scarso. Non è solo un episodio isolato, è il volto quotidiano dell’occupazione”.


La missione e l’intercettazione

La Global Sumud Flotilla – un consorzio internazionale di ONG e attivisti, tra cui l’italiana Rete Italiana Pace e Azione Nonviolenta – aveva salpato da Catania lo scorso settembre, con l’ambizione di ricordare al mondo la tragedia di Gaza: oltre 41mila morti dal 7 ottobre 2023, secondo le Nazioni Unite, in gran parte civili intrappolati in un blocco che soffoca ogni forma di vita.

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A bordo c’erano 26 italiani su un totale di oltre 300 partecipanti provenienti da una ventina di paesi, tra cui l’attivista svedese Greta Thunberg, vista da testimoni con le braccia legate durante l’abbordaggio israeliano.

La nave, ribattezzata “Sumud” in onore della resilienza palestinese, è stata fermata al largo di Ashdod il 28 settembre. Gli occupanti, disarmati e dichiaratamente nonviolenti, sono stati prelevati dalla marina israeliana, trasferiti all’esercito e poi alla polizia, per finire infine in carceri come quelle di Giv’on e Ketziot, nel Negev.


Rientri forzati e umiliazioni

Dei 26 connazionali, 18 hanno firmato un “foglio di rilascio volontario”, documento contestato dagli stessi firmatari, che lo definiscono un ricatto per accelerare l’espulsione. Sono stati rimpatriati via Eilat e Istanbul, con l’assistenza del consolato italiano in Turchia.

Gli altri otto, tra cui diversi membri della delegazione, hanno rifiutato di firmare, optando per un’espulsione giudiziaria.

“Dobbiamo riportarli a casa assolutamente”, ha esortato Michele Saponara, uno dei rientrati, stringendo la mano di un compagno. “È la priorità. E dobbiamo farlo a testa bassa, lottando perché cambino le cose. Non va bene così”.

La loro udienza è prevista per la prossima settimana: un’ulteriore umiliazione burocratica in un sistema che, secondo gli attivisti, criminalizza la solidarietà umanitaria.

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Celle sovraffollate e umiliazioni psicologiche

I racconti che emergono da Fiumicino sono un pugno allo stomaco, un’eco lontana ma vivida delle denunce che da anni provengono da Gaza e dalla Cisgiordania.

Paolo De Montis, sindacalista della Cub Trasporti, ha descritto notti in celle “da incubo”: quindici donne stipate in uno spazio per quattro, dieci uomini in una per sette; un solo rotolo di carta igienica per tutti, pasti consumati per terra, acqua calda e maleodorante dal rubinetto del bagno.

“Ciò che ci ha massacrato non è stato l’abbordaggio – non c’è stata violenza fisica eccessiva all’inizio – ma le ore in quelle prigioni”, ha raccontato De Montis, esausto ma determinato, accolto con fiori e una maglietta bianca che recitava ‘Libertà per la Palestina’.
“Lì abbiamo capito cosa subiscono i palestinesi ogni giorno: aggressività, odio verbale, ridicolizzazione costante. Siamo arrivati pacifici, con aiuti umanitari, e ci hanno trattato come minacce”.


Medicine negate e sequestri arbitrari

Le accuse si infittiscono con i resoconti medici: medicine sequestrate a cardiopatici, asmatici e persino a un anziano di 86 anni, che ha avuto un malore senza la sua bomboletta inalatoria.

“Abbiamo battuto sulle porte per ore, chiedendo un medico, ma niente”, riferisce Saverio Tommasi, giornalista freelance tra i rientrati.

A lui, come ad altri, sono state strappate le fedi nuziali durante i controlli, recuperate solo dopo un confronto acceso con un giudice a Istanbul.

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I telefoni cellulari sono stati confiscati, con dati personali e professionali cancellati o salvati a malapena su un hard disk.

“Gli aiuti che portavamo – farina, latte in polvere, kit pediatrici – presumibilmente sono affondati con la nave”, aggiunge Tommasi. “E noi? Ridicolizzati, con bandiere israeliane sventolate in faccia a Greta Thunberg mentre era legata. È violenza psicologica, un modo per spezzare lo spirito”.


L’abbraccio di Roma

L’accoglienza a Roma non è stata solo un momento di reunion familiare: oltre duecento persone, tra cui esponenti di movimenti pacifisti e sindacali, hanno intonato cori e sventolato bandiere palestinesi e arcobaleno sotto uno striscione che recitava “Non si può fermare il vento, Palestina libera”.

Il console italiano a Tel Aviv ha potuto visitarli solo per 15 minuti in cella, verificando condizioni critiche e distribuendo medicine di fortuna.

Ma per gli attivisti questo è solo l’inizio.

“Bisogna continuare a lottare”, ripete Saponara, mentre il gruppo si disperde tra taxi e abbracci. “Per i nostri compagni ancora là, per Gaza, per tutti i popoli sotto sopraffazione. L’assedio non è solo su di loro: è su di noi, sulla nostra umanità”.

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