n un’aula attraversata da tensioni e applausi di parte, la Camera dei deputati ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio (Giustizia), Matteo Piantedosi (Interno) e del sottosegretario Alfredo Mantovano.
Una decisione arrivata con voto segreto – 251 contrari e 117 favorevoli per Nordio, 256 a 106 per Piantedosi, 252 a 112 per Mantovano – che consegna alla maggioranza un risultato politico netto ma lascia aperti interrogativi gravi sulla separazione dei poteri e sull’impegno dell’Italia nella difesa dei diritti umani.
In Aula era presente la premier Giorgia Meloni, che ha assistito al voto senza intervenire, dopo giorni di silenzio seguiti alle rivelazioni sul caso.
Il caso Almasri: l’ombra libica sull’Italia
Al centro della vicenda c’è il generale libico Mohamed Almasri, accusato dalla Corte penale internazionale di torture e crimini contro l’umanità. Arrestato in Italia, era stato successivamente rimpatriato a Tripoli con un volo di Stato, nonostante un ordine di cattura internazionale.
Un’operazione condotta in violazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani e in contrasto con l’obbligo di collaborazione con la giustizia internazionale.
Secondo la procura, i vertici del Viminale e della Giustizia avrebbero avuto un ruolo diretto nella decisione di liberare e rimpatriare il generale, ignorando l’allerta della Corte penale internazionale.
La maggioranza chiude il caso in Parlamento
La Giunta per le autorizzazioni aveva già bocciato la richiesta di giudizio per favoreggiamento, peculato e omissione di atti d’ufficio, e il voto dell’Aula ha blindato quella linea.
Il relatore di maggioranza Pietro Pittalis ha sostenuto che le decisioni contestate ai ministri fossero di “natura politica”, non penalmente rilevanti.
Un argomento che, secondo le opposizioni, rischia di trasformare la prerogativa parlamentare in un paravento di impunità. Il voto segreto ha confermato la compattezza della maggioranza, con qualche defezione isolata tra i banchi dell’opposizione.
Le vittime e il ricorso alla Consulta
L’avvocato Francesco Romeo, legale di Lam Magok Biel Ruei, testimone delle torture inflitte da Almasri, ha annunciato che chiederà al Tribunale dei ministri di sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale, per riaffermare che è la magistratura – e non la politica – a dover decidere sulla responsabilità penale dei membri del governo.
“Nel nostro ordinamento – ha ricordato Romeo – non esistono zone franche per chi riveste cariche istituzionali. La Costituzione non ammette eccezioni davanti alla legge”.
Meloni e il silenzio del governo
Il caso Almasri si aggiunge a una lunga serie di forzature istituzionali che hanno segnato l’attuale legislatura: dal controllo sui media pubblici alla gestione dei migranti, fino al rifiuto di collaborare con la magistratura.
Il governo Meloni, che aveva promesso “piena trasparenza” e rispetto della legalità, ha scelto invece la via della protezione politica, evitando che i propri ministri si presentassero davanti ai giudici.
Con questa decisione, l’Italia manda un segnale inquietante sul piano internazionale: un Paese membro dell’Unione Europea che, di fronte a un mandato della Corte penale internazionale per crimini di guerra, preferisce chiudere le porte alla giustizia.