La famiglia di Marwan Barghouti ha confermato il pestaggio subìto dal leader di Fatah da parte delle guardie carcerarie israeliane il 14 settembre, come riferito ieri dall’emittente Al Araby Tv. Un pestaggio che, secondo le ricostruzioni, ha fatto perdere i sensi all’uomo, ritenuto una figura in grado di unire le diverse fazioni palestinesi e che Israele si è rifiutato di liberare nell’ambito dell’accordo sullo scambio di prigionieri concordato con Hamas.
Stando a quanto raccontato dal figlio Arab, il 66enne, condannato all’ergastolo per aver pianificato attentati contro Israele in cui sono morti cinque civili, sarebbe stato aggredito da otto guardie durante il trasferimento tra le prigioni di Rimon e Megiddo, che si trovano nel sud e nel nord di Israele, “perché non c’erano telecamere di sorveglianza”.
Le accuse, se confermate, gettano una luce inquietante sulle condizioni di detenzione nelle carceri israeliane, già denunciate da organizzazioni per i diritti umani internazionali. Il pestaggio di Barghouti, figura simbolo della resistenza palestinese e considerato da molti un possibile successore di Mahmoud Abbas, rappresenterebbe l’ennesimo episodio di violenza sistematica nelle prigioni israeliane, dove le segnalazioni di abusi e maltrattamenti sono in aumento dall’inizio della guerra a Gaza.