Hanin Majadli è una grande giornalista. E ancor più una grande donna. Nei suoi reportages c’è un carico di umanità che impreziosisce le analisi e le considerazioni politiche.
Hanin conosce la tragedia palestinese, la vive oltreché raccontarla. E nel farlo svela verità ingombranti, scomode. Dando voce ai senza voce né diritti. Per questo, non smetterò mai di ringraziarla
Verità scomode, come quella che è ben sintetizzata dal titolo che Haaretz fa al j’accuse di Majadli.
Mentre è in corso il cessate il fuoco a Gaza, non si deve permettere agli israeliani di sfuggire alle loro responsabilità
Scrive Majadli: “Gli ostaggi sono tornati a casa e per gli israeliani la guerra è finita. Sembra che la routine, quella che si è interrotta bruscamente in quella mattina maledetta, stia tornando. Si sono affrettati a dichiarare che oggi è l’8 ottobre, poiché il tempo si è fermato il 7 ottobre 2023.
Ora cercano di riprendersi, ricostruire, prosperare e sognare di nuovo un futuro, respirare come se non avessero privato altre persone dell’aria, ricongiungersi al mondo.
A Gaza, la morte e i bombardamenti intensivi si sono placati, per il momento, ma ora inizia il vero conteggio dei morti. Inizia la ricerca dei dispersi e il tentativo di ricostruire vite distrutte. Migliaia di persone stanno tornando nella parte centrale e settentrionale di Gaza dalla Striscia meridionale e stanno documentando la distruzione e la devastazione.
La violenza israeliana non cesserà finché rimarranno le fondamenta del regime che controlla la vita dei palestinesi, un regime basato sulla supremazia religiosa e razziale e sul dominio militare. Questo dominio continua a manifestarsi in modi diversi: se non nella Striscia, allora in Cisgiordania, e se non lì, allora all’interno della Linea Verde.
Questo continuerà ad essere così finché l’ingiustizia non sarà riconosciuta per quello che è e finché il potere che la esercita non sarà privato della sua legittimità.
È stato un errore pensare che l’uccisione a Gaza fosse un caso eccezionale. Sarebbe forse più accurato dire che è stata un’espressione particolarmente estrema di ciò che è sempre stato possibile qui. Israele non ha mai avuto problemi morali nell’uccidere i palestinesi.
Anche prima della guerra, in un periodo considerato “tranquillo”, decine di palestinesi sono stati uccisi. Ricordo un mese in cui ci sono state decine di morti in Cisgiordania senza praticamente alcuna ripercussione. Ora, dopo un anno di massacri sfrenati, l’asticella è stata alzata di nuovo ed è diventata normale. Israele può uccidere centinaia di palestinesi in Cisgiordania senza che ciò sia considerato eccezionale.
Penso al giorno in cui questa violenza sarà rivolta verso l’interno, verso i cittadini palestinesi dello Stato. Dopo tutto, quando Israele indossava ancora una maschera di innocenza ed era solo una potenza occupante, ha ucciso 12 cittadini palestinesi dello Stato. Cosa gli impedirà di ucciderne decine la prossima volta?
Pertanto, Israele e gli israeliani non devono essere esentati dalla responsabilità. Come in Germania, Sudafrica e Ruanda, ora è il momento di Israele. E forse questa sarà una misura di “giustizia cosmica” per i palestinesi per ciò che è stato fatto dal 1948 e che il mondo ha permesso e continua a permettere.
Se Israele non sarà ritenuto responsabile, ne pagheremo tutti il prezzo. Non solo i palestinesi. Ciò che accade a Gaza non rimarrà a Gaza. Israele ha creato un precedente globale: uno Stato può commettere un genocidio, trasmetterlo in diretta e tornare comunque a far parte del mondo libero.
È lecito massacrare e affamare in nome dell’“autodifesa”. Non si tratta di una questione locale, ma di una questione che riguarda il futuro dell’ordine mondiale in cui viviamo.
Forse il genocidio in sé è finito, ma la lotta è solo all’inizio: la lotta per perseguire Israele e chiedere sanzioni contro di esso. È l’unica possibilità per un futuro diverso, in cui Israele smetta di essere il bullo occupante del quartiere”, conclude Hanin Majadli.
Un grande ebreo, premio Nobel per la pace, sopravvissuto ai lager nazisti, Elie Wiesel ebbe a dire che senza memoria non c’è futuro. Lui che ha dedicato la sua vita, e la sua straordinaria produzione letteraria, al tema della memoria della Shoah, ha lasciato una lezione, un monito, che non ha scadenza temporale. È vero. Senza memoria non c’è futuro. E l’oblio è un male del nostro tempo. Il tempo dell’eterno presente, della “globalizzazione dell’indifferenza “(Papa Francesco). Il tempo della “memoria selettiva”, che riporta alla luce solo quello che si vorrebbe usare per contrastare le verità scomode.
Il discorso sulla Shoah vale anche per il genocidio di Gaza. Sento già alzarsi le voci che gridano: antisemita, come può mettere in relazione questi due eventi! Non è mia intenzione, non adesso, non in questo articolo, inoltrarmi in una polemica che ritengo sterile e fuorviante. La questione che pone Hanin Majadli è altra. Quella dell’impunità legalizzata. Dell’ipocrita vociare pensiamo al futuro, non lasciamoci ingabbiare dal dolore e dall’odio. No, non va bene così. Senza memoria non c’è futuro. E il fatto che un fragile cessate il fuoco possa risparmiare altre migliaia di vite, va sì accolto con gioia ma la gioia dei sopravvissuti non rende giustizia ai morti. E senza giustizia non ci può essere riconciliazione. Giustizia, non vendetta. Per questo, oggi più che mai, c’è bisogno di una “Norimberga” per Gaza.