Israele ha lanciato nuovi raid aerei su Gaza City, colpendo ancora una volta una città già devastata da mesi di guerra. Lo riferisce l’agenzia Reuters, citando testimoni sul posto. L’ordine è arrivato direttamente dal primo ministro Benjamin Netanyahu, che ha incaricato l’esercito di condurre “attacchi potenti” contro la Striscia, riaccendendo la spirale di violenza nonostante il fragile cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti.
La decisione di Netanyahu è giunta dopo una riunione d’emergenza del governo, durante la quale il premier ha accusato Hamas di aver violato la tregua. Tuttavia, le accuse non sono state accompagnate da prove concrete e arrivano in un momento di forte pressione interna: le ali più estreme e ultranazionaliste del suo esecutivo reclamano da giorni la ripresa totale delle operazioni militari su Gaza.
Poche ore prima dei raid, secondo fonti israeliane, miliziani palestinesi avrebbero aperto il fuoco contro soldati israeliani nel sud della Striscia, utilizzando un missile anticarro e armi leggere. Tel Aviv ha reagito colpendo quella che ha definito “infrastruttura di Hamas”, un’espressione che, come spesso accade, rischia di coprire anche obiettivi civili.
Nel corso della giornata, Netanyahu ha ulteriormente alimentato la tensione sostenendo che Hamas avrebbe commesso una “chiara violazione” della tregua restituendo “resti” di un ostaggio israeliano morto due anni fa, un gesto interpretato dal governo come una provocazione. Ma la sproporzione della risposta militare israeliana, che rischia di far saltare del tutto la fragile tregua, è evidente.
Dietro la nuova escalation si intravedono motivazioni politiche più che militari. Netanyahu, sempre più isolato sul piano internazionale e contestato in patria per la gestione della guerra e delle trattative sugli ostaggi, sembra cedere alla pressione dell’estrema destra del suo governo, disposta a sabotare qualsiasi accordo pur di mantenere un clima di guerra permanente.
Intanto, la popolazione di Gaza continua a pagare il prezzo più alto. Ogni raid israeliano, giustificato come risposta “difensiva”, si traduce in nuove vittime, nuove macerie, nuovi sfollati. La tregua, che doveva aprire uno spiraglio di umanità e di ricostruzione, rischia di morire soffocata dalle bombe di Israele e dall’inerzia della comunità internazionale, incapace di imporre il rispetto di un cessate il fuoco reale e duraturo.