L’abbraccio tossico tra Meloni e Orbán: patrioti di cartone, vassalli dei potenti

Dietro i sorrisi di circostanza e le dichiarazioni di rito, l’incontro di ieri a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e Viktor Orbán ha avuto il sapore amaro di un equilibrio instabile.

L’abbraccio tossico tra Meloni e Orbán: patrioti di cartone, vassalli dei potenti
Orban e Meloni
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28 Ottobre 2025 - 12.19


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Dietro i sorrisi di circostanza e le dichiarazioni di rito, l’incontro di ieri a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e Viktor Orbán ha avuto il sapore amaro di un equilibrio instabile. Ufficialmente si è parlato di “competitività industriale” e “difesa europea”, ma in realtà la premier italiana ha voluto capire fin dove il leader ungherese, sempre più isolato, intenda spingersi nella sua crociata anti-Bruxelles.

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Fonti di Palazzo Chigi lo ammettono senza troppi giri di parole: «Ogni volta che Orbán alza i toni, per noi sono problemi». E non solo diplomatici.


Sovranisti d’Europa: propaganda e contraddizioni

È il paradosso dei “patrioti” europei: invocano sovranità nazionale, ma vivono di fondi e sostegni comunitari. Mentre Orbán accusa l’Unione di “non contare nulla”, la sua economia resta a galla grazie ai trasferimenti europei. E Meloni, che a Bruxelles cerca di accreditarsi come interlocutrice credibile, deve inseguire la retorica di chi quell’Europa la vuole demolire.

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Dietro l’apparente affinità ideologica, ci sono interessi divergenti: Roma ha bisogno di partner per accedere ai fondi europei sulla difesa, come il Safe Fund, che richiede almeno due Stati partecipanti; Budapest cerca invece una stampella politica mentre l’ex alleato Péter Magyar lo incalza alle elezioni di aprile.


Meloni tra Bruxelles e Salvini

Non era certo il momento ideale per ospitare Orbán. Il leader ungherese, in piena campagna elettorale, non può rinunciare ai toni anti-UE che lo tengono a galla. E ogni sua sparata rischia di rimbalzare sull’Italia, trascinando Meloni nel campo dei “nemici dell’Europa”.
Non è un caso se il voto di Fratelli d’Italia contro la riforma dell’unanimità nel Consiglio UE, allineato a Ungheria e Slovacchia, ha provocato l’ennesima frattura politica. Enrico Borghi (Iv) ha accusato la premier di “subalternità a Orbán”. Da FdI, Giovanni Donzelli ha risposto parlando di “difesa dell’interesse nazionale”.

Ma mentre Orbán si intratteneva a Chigi, un suo collaboratore – Balázs Orbán – attaccava la Rai e Report, il programma di Sigfrido Ranucci. Una provocazione che Meloni ha lasciato correre, pur di non incrinare l’immagine di armonia.

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Sovranisti di carta, sudditi reali

Dietro la retorica patriottica, emergono tutte le dipendenze che i sovranisti fingono di ignorare. Orbán continua a difendere i rapporti energetici con Mosca, lamentando le sanzioni americane sulle compagnie petrolifere russe che “danneggiano l’Ungheria”. Meloni tace, ma intanto punta sull’asse industriale con Budapest pur di non restare isolata sul fronte europeo della difesa.

È un gioco a somma zero: Orbán usa l’Italia come sponda politica per legittimarsi in Europa, mentre Meloni tenta di mostrarsi come il volto “responsabile” di un sovranismo che non può più permettersi i toni da barricata.


Salvini rientra in scena

E mentre la premier tenta di contenere i danni, Matteo Salvini coglie l’occasione per marcare il territorio. Dopo l’incontro di Orbán a Palazzo Chigi, il leader leghista ha annunciato la propria stretta di mano con l’ungherese. La Lega, ormai parte dei Patriots fondati da Orbán, vuole scalzare l’influenza meloniana nel fronte conservatore europeo.
Un duello interno alla destra che rischia di spaccare il fronte sovranista prima ancora delle prossime europee.

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L’Europa come bersaglio comodo

Dietro la facciata di patriottismo, resta l’immagine di una destra europea che insulta l’Unione da cui dipende, accarezza Mosca mentre invoca la Nato e parla di “identità” per nascondere il vuoto di una visione comune.
Un’alleanza di convenienza, dove ogni stretta di mano vale un giorno di tregua e un voto in più.


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