Così Il Likud di Netanyahu è diventato un partito ultra-ortodosso e liberticida
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Così Il Likud di Netanyahu è diventato un partito ultra-ortodosso e liberticida

L’illusione che in Israele esista ancora una destra “moderata”, e che essa consista nel Likud, il partito di Benjamin Netanyahu. Niente di più errato e ipocritamente consolatorio. 

Così Il Likud di Netanyahu è diventato un partito ultra-ortodosso e liberticida
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Ottobre 2025 - 17.16


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Chi coltivava ancora delle illusioni, legga con attenzione il pezzo di Uri Misgav, uno degli analisti politici di punta di Haaretz. L’illusione che in Israele esista ancora una destra “moderata”, e che essa consista nel Likud, il partito di Benjamin Netanyahu. Niente di più errato e ipocritamente consolatorio. 

Il Likud di Netanyahu è diventato un partito ultraortodosso

Annota Misgav: “Appena è iniziato il fragile cessate il fuoco a Gaza, mentre si svolgeva il dramma del ritorno degli ostaggi vivi, Israel Katz è stato chiamato ad Ashdod per “una consultazione e una benedizione”. Chi ha accolto il ministro della Difesa? Il rabbino Yoshiyahu Pinto, un ex detenuto. Indossava una veste elaborata, proprio come aveva fatto per accogliere il primo ministro Benjamin Netanyahu a Washington nel mese di luglio.

Il ministro dell’Agricoltura Avi Dichter ha recentemente visitato la Moldavia, dove, secondo quanto riferito dal suo ufficio, ha promosso un “accordo sul grano”. Le foto lo ritraggono in compagnia di rabbini dalla barba folta. Il ministro dell’Economia Nir Barkat ha interrotto una recente visita in Giappone e negli Stati Uniti per pubblicare un selfie con indosso una kippah e agitando un lulav per Sukkot.

La ministra dei Trasporti Miri Regev ha detto questa settimana che avrebbe potenziato il servizio di autobus e treni per portare gli Haredim alla “manifestazione di preghiera di un milione di persone” di giovedì a Gerusalemme contro la leva militare. Questo, dopo aver rifiutato di prendere tali misure per le grandi manifestazioni contro il colpo di Stato del governo e per gli ostaggi (“Non siamo una compagnia di autobus charter”). E sabato 7 ottobre 2023, lei e il suo governo non hanno ritenuto opportuno mobilitare i trasporti pubblici per portare i soldati nelle zone di combattimento. L’osservanza dello Shabbat ha avuto la precedenza sul salvare vite umane. 

In effetti, il Likud è diventato un partito Haredi. Non si tratta di un improvviso fervore religioso, ma piuttosto di interessi personali ed esistenziali. La conquista haredi è stata effettuata con una manovra a tenaglia. Le primarie del Likud sono un braccio. Un enorme sforzo di reclutamento ha portato migliaia di nuovi membri al partito, haredi che eseguono gli ordini dei loro rabbini. Ecco perché i legislatori e i ministri del governo si stanno sfinendo correndo ai matrimoni e ai bar mitzvah degli Haredi. Non invidiateli. Gli Haredim hanno molti figli e ancora più nipoti. È un compito sisifeo. 

Il secondo braccio è la coalizione di governo. In passato, i partiti Haredi erano potenti perché si assicuravano di mantenere l’equilibrio di potere, da vendere al miglior offerente. Ma questa è storia. Ora sono in debito con l’alleanza Bibi-ista e Kahanista, ma la dipendenza è reciproca. Senza gli Haredim, Netanyahu non avrebbe mai una coalizione, né tantomeno un blocco in grado di impedire ai suoi rivali di formare un governo. Questo ha implicazioni di vasta portata.

Il Likud, nato dal movimento Herut e poi dal blocco Herut-Liberale e sempre considerato un partito “nazionale” e “popolare”, è in pratica un partito Haredi, al servizio di programmi ristretti, messianici, antimilitaristi e antisionisti, sui quali spende un sacco di soldi del governo.

Alcuni di questi legami si creano negli interstizi oscuri tra il mondo della religione e quello del crimine (Pinto e i suoi simili, così come il capo della sezione del Likud a Herzliya, Rafi Kedoshim, un ex detenuto che è diventato osservante religioso e ora è considerato la forza più potente del partito). Un altro centro di potere è il movimento chassidico Chabad Lubavitch, in Israele e all’estero.

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Al momento, non c’è modo di essere eletti nel Likud senza i membri del partito di Chabad. Questo spiega il continuo viavai dei membri della famiglia Netanyahu e dei suoi servitori e schiavi alla tomba dell’ultimo rebbe Lubavitcher a New York City. Le visite sono organizzate da Chagit Leviev Sofiev (figlia dell’oligarca Lev Leviev).

Questo spiega anche perché così tanti membri del governo stanno andando a Budapest. Non è per la bellezza del Danubio o per l’ospitalità del primo ministro fascista Viktor Orban. La città è semplicemente la sede di una delle filiali Chabad più forti e ricche del mondo.

Dal massacro del 7 ottobre, i ministri del governo ci sono andati 17 volte, oltre alle decine di visite dei parlamentari della coalizione. Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar,  per esempio, ci è tornato questa settimana, per la seconda volta da quando è rientrato nel governo.

La svolta verso l’ultraortodossia è il punto debole del Likud; l’opposizione deve attaccarla senza pietà fino alle prossime elezioni generali, non con dichiarazioni stupide e antidemocratiche sul condizionamento del diritto di voto al servizio militare, ma con un discorso semplice e diretto sulla preferenza del Likud per gli evasori del servizio militare, i parassiti e gli antisionisti rispetto ai patrioti che servono e lavorano. Dio, è così facile!”.

Da incorniciare.

I bambini di Gaza stanno pagando il prezzo dei nostri fallimenti

Lo denuncia, sempre sul quotidiano progressista di Tel Aviv, Samer Sinijlawi.

Scrive Sinijlawi: “Durante la guerra, le immagini da Gaza ci hanno spezzato il cuore ogni singolo giorno. Neonati sepolti prima ancora di ricevere il certificato di nascita. Bambini estratti dalle macerie, con il viso coperto di polvere, gli occhi fissi in un futuro che era già stato loro rubato. Alcuni sono sopravvissuti, ma soli, senza genitori che li chiamassero per nome. Altri giacevano in ospedali sovraffollati, silenziosi sotto bende improvvisate, sottoposti a interventi chirurgici senza anestesia perché le scorte erano esaurite. L’organizzazione umanitaria internazionale Save the Children ha riferito   che nei primi tre mesi di guerra più di 10 bambini al giorno hanno subito amputazioni. A metà del 2025, più di 5.000 bambini avevano bisogno di una riabilitazione prolungata e almeno 7.000 vivono ora con una disabilità permanente. 

Secondo l’Unicef e altre organizzazioni delle Nazioni Unite, il tasso di amputazione degli arti dei bambini nella Striscia di Gaza è attualmente il più alto al mondo. Tra i 3.000 e i 4.000 bambini hanno perso uno o più arti dall’inizio della guerra. Più di 64.000 bambini sono stati uccisi o feriti negli ultimi due anni, tra cui almeno 1.000 neonati. Circa 2 milioni di persone, per lo più bambini, sono state sfollate dalle loro case e 660.000 hanno perso la possibilità di andare a scuola. Più di 50.000 hanno perso almeno un genitore. 

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Questi non sono solo numeri. Dietro di essi ci sono nomi, volti, vite. Per questi bambini,   la guerra non finirà mai. Ogni mattina si svegliano con il ricordo di ciò che hanno perso e di ciò che noi adulti non siamo riusciti a proteggere.

È facile, e a volte giustificato, puntare il dito verso l’esterno: contro i bombardamenti di Israele, contro l’indifferenza del mondo, contro i sistemi internazionali che non sono riusciti a impedire quello che è diventato un incubo umanitario. Ma c’è un’altra verità che noi palestinesi dobbiamo affrontare, una verità dolorosa, ma che dobbiamo ammettere: parte di questa tragedia è anche opera nostra. 

Le nostre divisioni politiche durano da troppo tempo.

La nostra leadership è lontana dalla realtà in cui vive il nostro popolo. Mentre i bambini sanguinavano negli ospedali senza medicine né anestesia, le fazioni politiche a Ramallah e Gaza litigavano per il potere e la legittimità. Mentre la popolazione di Gaza subiva sofferenze inimmaginabili, noi ci consolavamo con slogan invece che con soluzioni, e con dichiarazioni politiche invece che con misure per salvare vite umane. 

La responsabilità di questo fallimento non è solo della leadership. È anche nostra, di tutto il popolo palestinese. Non possiamo continuare a normalizzare questo fallimento. Il nostro dolore è giustificato, ma senza un esame di coscienza porta a un vicolo cieco. Se vogliamo davvero onorare e rispettare i bambini di Gaza, dobbiamo cambiare la nostra leadership, cambiare il nostro discorso e cambiare il nostro modo di agire. 

Dobbiamo esigere responsabilità da tutti coloro che affermano di rappresentarci. Dobbiamo ricostruire le nostre istituzioni sulla base dell’unità e delle opinioni democratiche. E dobbiamo avviare un dialogo diretto con l’opinione pubblica israeliana. Non per concessione, ma piuttosto per la consapevolezza che la pace è l’unica via che garantirà il futuro dei nostri figli.

I discorsi non riporteranno in vita i morti, ma le azioni possono dare alle persone distrutte una ragione per vivere. La leadership palestinese deve iniziare immediatamente a formulare un piano nazionale per riabilitare i bambini di Gaza, non solo un piano di riabilitazione fisica, ma piuttosto un piano di salvataggio incentrato sugli aspetti umani e psicologici della vita.

È necessario istituire un fondo nazionale permanente per finanziare protesi, fisioterapia e cure per i traumi dei bambini feriti, con una gestione professionale e trasparente e in collaborazione con organizzazioni internazionali e persino israeliane affidabili.

Dobbiamo fare della ricostruzione dei sistemi sanitari e scolastici di Gaza la massima priorità nazionale palestinese. Non possiamo contare solo sulle donazioni dall’esterno. Sta a noi mobilitare le nostre risorse e le competenze dei palestinesi in tutto il mondo. Anche la nostra società civile deve agire. Dobbiamo avviare programmi comunitari per sostenere gli orfani e i feriti e creare strutture per l’istruzione e la formazione professionale, affinché a Gaza non cresca una generazione perduta. Dobbiamo insegnare ai nostri figli che l’onore non si manifesta nella vendetta, ma piuttosto nella capacità di ricostruire la propria vita nonostante il dolore”.

Da scolpire nella pietra.

La mattanza continua

Ne dà conto Nir Hasson, grande reporter di guerra che su Haaretz scrive: “Secondo quanto detto dal Ministero della Salute di Gaza, gestito da Hamas, e dalle Forze di Difesa Israeliane, circa il 75% delle persone uccise nell’attacco israeliano a Gaza martedì sera erano civili. Gli attacchi dell’aviazione israeliana sono arrivati dopo che dei palestinesi armati hanno sparato contro un’unità del Corpo degli Ingegneri Militari a Rafah, nella parte sud della Striscia, uccidendo martedì il sergente maggiore Yona Efraim Feldbaum, un riservista di 37 anni.

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Il Ministero della Salute di Gaza ha detto che 104 persone sono state uccise negli attacchi di rappresaglia, tra cui 46 bambini e 20 donne. Il portavoce dell’Idf ha detto che sono stati colpiti 26 obiettivi, tra cui nove comandanti di compagnia di Hamas, altri affiliati alla Jihad Islamica e terroristi coinvolti nella produzione di razzi.

Tra gli obiettivi colpiti c’erano decine di terroristi chiave, posti di osservazione, un sito di produzione di armi, siti di lancio di razzi e mortai e un passaggio sotterraneo, ha detto l’esercito.

Due degli attacchi erano diretti contro due case della famiglia Abu Dalal nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza. Nell’attacco sono morte 18 persone, tra cui cinque donne e un numero imprecisato di bambini. L’obiettivo sembra essere stato Yahya Abu Dalal, che secondo l’Idf è il vicecomandante della divisione dei campi della Jihad Islamica nel centro di Gaza.

L’elenco degli obiettivi dell’Idf includeva anche Nazmi Abu Dalal, ma il suo nome non figurava tra quelli che la famiglia ha dichiarato essere stati uccisi.

Tra le vittime dell’attacco c’era Ameen Abu Dalal, che in passato aveva lavorato con il gruppo umanitario The Sameer Project. In una dichiarazione, l’organizzazione ha detto che è stato ucciso insieme alla moglie e ai due figli, i gemelli di tre anni Sham e Yahya Abu Dalal, ai suoi tre fratelli, alla madre e al padre.

Un altro attacco dell’aviazione su una tenda vicino all’ospedale Shuhada al-Aqsa a Deir al-Balah ha causato cinque morti, tra cui tre bambini, secondo quanto riportato dai palestinesi. In un attacco è stato ucciso anche un neonato di 41 giorni.

Uno dei nomi che comparivano nella lista degli obiettivi dell’Idf era Muhammad Minrawi, che, secondo l’esercito, era “responsabile delle forze anticarro nel nord di Gaza”. Fonti palestinesi hanno detto che l’uomo, ucciso insieme alla moglie in una tenda a Nuseirat, lavorava come giornalista per un quotidiano palestinese. Il sito web del giornale mostrava la sua firma su diversi articoli, ma l’ultimo risaliva al 2022.

Mercoledì, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha condiviso un articolo in cui si diceva che il rapporto tra civili e uomini armati uccisi nella Striscia di Gaza non era superiore a 1,5 civili per ogni uomo armato.

Tuttavia, questa cifra non corrisponde alla maggior parte dei dati raccolti sulla guerra. Ad esempio, nell’operazione Gideon’s Chariots, l’Idf ha dichiarato di aver ucciso “più di 2.100 terroristi”, mentre il Ministero della Salute di Hamas ha riportato un totale di 10.576 vittime, con un rapporto di cinque civili uccisi per ogni terrorista. Altre ricerche condotte durante la guerra hanno anche rivelato un rapporto tra civili e combattenti molto più alto di quello dichiarato da Israele”, conclude Hasson.

E la chiamano tregua. 

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