Il Libano verso una nuova guerra
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Il Libano verso una nuova guerra

A un anno da distanza dalla guerra, il Libano sembra ritrovarsi a qualcosa di simile al punto di partenza.

Il Libano verso una nuova guerra
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

31 Ottobre 2025 - 21.32


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A un anno da distanza dalla guerra, il Libano sembra ritrovarsi a qualcosa di simile al punto di partenza. Il cessate il fuoco raggiunto nello scorso ottobre reggeva su due termini che non si sono verificati pienamente: il ritiro di Israele dal Libano meridionale e il disarmo di Hezbollah.

Se il ritiro di un esercito può essere fatto anche in poche ore, il disarmo di una milizia come Hezbollah richiede tempo. Ma dopo un anno il Partito di Dio, almeno a parole, sostiene che senza ritiro israeliano non rinuncerà alle armi che gli sono rimaste. Israele da parte sua proprio non ci pensa a ritirarsi dagli “avamposti” militari (cinque) che ha conservato in territorio libanese e intensifica le operazioni soprattutto aeree, ma anche di terra, davanti a un governo libanese che così si trova in difficoltà: insieme all’Unifil ha effettuato robuste confische di armi, ma secondo fonti non verificabili Hezbollah avrebbe trovato il modo di riattivare i canali di approvvigionamento di armi dal’Iran (attraverso canali clandestini in Siria e Iraq), ma in pendenza di operazioni militari israeliane sul suo territorio non può che chiedere a Israele di fermarsi. 

E invece nella giornata di giovedì poi c’è stato l’incidente: un commando israeliano è entrato in Libano per distruggere una postazione di Hezbollah ma nell’operazione è rimasto coinvolto un dipendente della municipalità che dormiva nella sede del municipio teatro dell’operazione, morendo. Da stillicidio quotidiano contro operativi di Hezbollah l’operazione militare israeliana sta salendo di tono, di livello. Hezbollah parla di provocazioni del nemico, il governo è in difficoltà e non può che usare un linguaggio simile, Israele dice di non poter chiudere gli occhi. 

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Ecco allora il piano americano di cui vociferano in queste ore alcuni giornali libanesi: prevederebbe di far intervenire nel sud del Libano una forza internazionale, affidando l’amministrazione civile a tecnocrati libanesi. Un po’ la formula-Gaza.

Il punto militare è chiaro: l’esercito libanese non può e non vuole disarmare del tutto Hezbollah se questa è determinata -come è- ad opporsi,  per i rischi di una guerra civile che si potrebbe determinare. Hezbollah oltre al suo braccio militare ha un braccio politico e una robusta rappresentanza parlamentare, siede nello stesso governo, nel passato come oggi, rappresenta parte sostanziosa della comunità sciita e quindi suoi quadri sono sindaci o amministratori pubblici. Ecco il perché dell’ipotizzata proposta di governo amministrativo tecnocratico: escluderne elementi di Hezbollah, che aiuterebbero certamente il braccio militare del loro partito. 

Ma c’è un altro problema per l’attuazione di questo ventilato piano: il Libano è anche uno Stato, non è detto che possa rinunciare alla sovranità fattuale sud del Libano, seppure-forse- per un tempo delimitato. Un sostegno più robusto dal punto di vista militare può essere nell’ordine delle cose, ma la sospensione delle funzioni amministrative e degli organismi elettivi sarebbe altra cosa.  Rinunciare però potrebbe compromettere la sovranità su tutto il Paese, come è accaduto in passato. 

Inoltre c’è la constatazione che il Paese non riesce a ritrovare la sua piena e autentica sovranità. Appena eletto Presidente della Repubblica, sul finire della guerra, Joseph Aoun aveva espresso chiaramente questo concetto: l’autorità pubblica, il governo, lo Stato, devono avere il monopolio delle armi in tutto il Paese. Un anno dopo quel discorso ciò sembra dimostrarsi non ancora possibile per l’indisponibilità di Hezbollah a diventare un partito come gli altri, senza un braccio armato. Se le ventilate proposte americane sono difficili da digerire per uno Stato sovrano, anche la scelta di Hezbollah di rifiutarsi di consegnare le sue armi all’esercito libanese lo è. In uno Stato sovrano nessuno è figlio di un Dio superiore. 

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Sembra così chiaro che gli sviluppi siano già scritti: ci dovranno essere negoziati tra le parti, che coinvolgano israeliani e libanesi, nella forma che le alchimie mediorientali potranno accettare ( si parla di israeliani in una stanza e libanese in un’altra, nello stesso stabile ma collegati via computer). Questo negoziato però difficilmente comporterà la sospensione delle azioni militari di Israele, la formula Gaza è chiara. Ma se si vuole evitare che infrastrutture, come le centrali elettriche, siano colpite, già ora, si potrà trovare il modo di negoziare in qualche modo. Sarebbe una pressione ulteriore, questo è chiaro, su Hezbollah. Pressione israeliana, ma che il governo libanese potrebbe accettare perché la speranza che Hezbollah scopra il principio di realtà è nel suo interesse. E il principio di realtà, dal punto di visto di un vero governo nazionale, non può che essere che Hezbollah ha perso, ha provocato la distruzione di buona parte del paese dopo essersi arbitrariamente impossessata della strategia nazionale di difesa e ora dovrebbe disarmarsi. Ma i pessimisti hanno gioco facile a immaginare che Hezbollah resisterà perché Hezbollah non è un partito libanese, è un partito iraniano e risponde all’Iran, ai progetti e ai piani iraniani. E l’Iran oggi ha in mano poche carte per un eventuale negoziato con gli americani e tra queste poche carte c’è quel che resta di Hezbollah.

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La missione sin qui impossibile del governo libanese è stata questa: imporre a Hezbollah di rispondere all’interesse nazionale. Una resistenza armata è legittima, ma se fatta nel nome dello Stato e dei sui interessi, non contro. Hezbollah però in questo anno non ha dimostrato di volersi trasformare in partito libanese, rimane un’emanazione iraniana. E questo cambia l’ottica, gli obiettivi. Un Libano rinato potrebbe essere molto importante, politicamente ed economicamente, ma questo a Tehran non interessa. 

E Hezbollah non pensa all’interesse del Libano, o degli sciiti libanesi, che potrebbe meritoriamente difendere dopo le lunghe discriminazioni del passato, ma a quelli dell’Iran. La ricomposizione sotto lo stesso tetto “culturale” di tutti i libanesi rimane difficile, ma anche Washington dovrebbe considerare che la forza alle volte non basta, soprattutto se fosse vero -impossibile dirlo- che Hezbollah ha ritrovato il modo di ricevere armamenti attraverso la Siria nonostante in Siria oggi governino i suoi più acerrimi nemici.   

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