A dispetto dei proclami e dei facili annunci sul “cessate il fuoco”, la realtà che arriva dalla Striscia di Gaza è ben altra: quattro palestinesi sono stati uccisi nelle ultime 24 ore, portando il bilancio complessivo, secondo il ministero della Sanità di Gaza, a 236 vittime e oltre 600 feriti da quando la tregua è entrata in vigore.
Le autorità sanitarie palestinesi, controllate dal movimento Hamas, riferiscono di tre decessi negli ospedali della Striscia e di un altro paziente deceduto per le ferite riportate durante gli attacchi. Tre corpi aggiuntivi sono stati rinvenuti sotto le macerie di edifici colpiti dalle forze israeliane.
Eppure, da più parti, il premier israeliano Benjamin Netanyahu continua a sostenere che la sua azione militare è “mirata” e legata esclusivamente alla lotta contro le strutture terroristiche di Hamas. Ma i numeri dicono altro: se davvero le operazioni fossero limitate e precise, non assisteremmo ad un tale numero di morti in piena tregua.
Il cessate il fuoco – ufficialmente mediato dagli Stati Uniti – era stato presentato come la via per dare respiro a Gaza, permettere l’ingresso di aiuti umanitari e far uscire la popolazione da mesi di assedio e bombardamenti. Ma le oltre 200 uccisioni registrate da allora mostrano che la tregua, più che una vera interruzione delle ostilità, si è rivelata una pausa strategica che non ha affatto fermato la violenza.
Dal canto israeliano si sottolinea che ogni attacco è finalizzato a “neutralizzare cellule terroristiche” o impedire il ritorno operativo di Hamas. Tuttavia, il continuo ricorrere ad attacchi aerei, aereo-rilevati o verso aree urbane densamente popolate mostra quanto sia sottile il confine tra operazione militare e bombardamento indiscriminato.
Nel frattempo, la popolazione di Gaza vive in una condizione sempre più drammatica: case distrutte, ospedali al collasso, mancanza d’elettricità e acqua potabile. L’accesso agli aiuti umanitari continua ad essere bloccato o ridotto, mentre nuove vittime si aggiungono ogni giorno. In questa cornice, la promessa di Netanyahu di una pace o anche solo di una tregua effettiva sembra svanire nell’ombra dei raid quotidiani.
Se davvero Israele voleva segnare una svolta con la tregua, la conta delle vittime dice che quella svolta non è arrivata. Il numero – 236 uccisi – diventa così il numero dell’ipocrisia di un governo che parla di “fine delle ostilità” e allo stesso tempo continua a premere il grilletto.
In definitiva: la tregua non è pace, non è protezione dei civili, non è interruzione della violenza. È una tregua sul nome. Ma per chi vive a Gaza è solo un’illusione tragica.