Nel giorno della commemorazione della Notte dei Cristalli, l’ambasciatore israeliano in Germania, Ron Prosor, ha scelto un bersaglio preciso: non l’estrema destra, non i movimenti neonazisti o gli attori islamisti, ma la sinistra. Secondo Prosor, infatti, “l’antisemitismo di sinistra è oggi la minaccia più pericolosa”, perché “nasconde le sue intenzioni dietro la libertà di espressione” e “ha ormai superato il confine dell’incitamento all’odio”. Una tesi rilanciata da Deutsche Welle e dai giornali del gruppo Funke.
Parole che suonano come un paradosso, soprattutto se pronunciate in Germania, dove la memoria della Shoah dovrebbe insegnare a distinguere tra odio antiebraico e critica politica. Perché l’antisemitismo è, e resta, la dottrina razzista che considera gli ebrei una “razza inferiore” o un gruppo da discriminare, perseguitare o sterminare. È l’odio di chi bruciava sinagoghe, non di chi denuncia la distruzione di case palestinesi.
Ma da anni Israele — e in particolare la sua destra di governo — tenta di riscrivere questa distinzione elementare: chiunque condanni l’occupazione, la colonizzazione o le violazioni dei diritti umani nei Territori viene bollato come antisemita. Un’operazione politica, non morale, che serve a mettere a tacere le voci critiche, a confondere la solidarietà con i palestinesi con l’odio verso gli ebrei, e a costruire un comodo nemico interno: la sinistra europea, le università, i teatri, il mondo della cultura.
E intanto la stessa destra israeliana, che oggi lancia anatemi contro gli “antisemiti di sinistra”, da anni stringe rapporti e alleanze con eredi diretti del fascismo e del nazismo in Europa: da Vox in Spagna al Rassemblement National in Francia, dall’AfD in Germania alla Lega di Salvini in Italia. Tutti movimenti che fino a ieri giocavano con simboli e parole di quell’odio che sterminò milioni di ebrei, ma che oggi si riciclano come amici di Israele in nome dell’islamofobia e della “guerra al terrorismo”.
Ecco allora la vera distorsione: trasformare l’antisemitismo in un’arma politica per silenziare chi chiede giustizia per i palestinesi. Perché criticare un governo non è mai odio verso un popolo. E perché la libertà di parola — quella vera, non quella manipolata — serve proprio a difendere la verità dai poteri che vorrebbero riscriverla.
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