Diodato Abagnara: "Unifil ponte tra stabilità e autonomia, la pace in Libano va resa duratura"
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Diodato Abagnara: "Unifil ponte tra stabilità e autonomia, la pace in Libano va resa duratura"

Il generale italiano Diodato Abagnara, comandante di Unifil, sottolinea il ruolo della missione Onu come ponte per una pace stabile e autonoma in Libano.

Diodato Abagnara: "Unifil ponte tra stabilità e autonomia, la pace in Libano va resa duratura"
Diodato Abagnara, comandante dell'Unifil
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11 Novembre 2025 - 12.16


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di Pierluigi Franco

NAQURANel Sud del Libano, lungo una linea di confine ancora fragile e costantemente sorvegliata, migliaia di peacekeeper delle Nazioni Unite operano ogni giorno per mantenere la stabilità e prevenire nuove escalation.  A guidarli c’è un generale italiano, Diodato Abagnara, Head of Mission e Force Commander della United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil). Un ruolo delicato. E ancor più delicato dopo l’inasprirsi della tensione tra Hezbollah e Israele degli ultimi giorni. 

Sotto la sua direzione, la missione delle Nazioni Unite ha consolidato il proprio ruolo di principale strumento di garanzia della sicurezza nell’area, rafforzando la cooperazione con le Forze armate libanesi (Laf) e promuovendo un approccio integrato che unisce sicurezza, sostegno alle comunità locali e dialogo istituzionale. Il Generale Abagnara, uomo di punta dell’Esercito Italiano, ha volentieri accettato di dialogare con Globalist per spiegare come si colloca oggi il mandato dell’Unifil nel difficile quadro mediorientale.

Signor Generale, quale è oggi il contributo italiano alla Missione e cosa rappresenta attualmente Unifil in un contesto così complesso?

Il contributo italiano, riconosciuto a livello internazionale, si traduce oggi in un modello di presenza efficace, basato su equilibrio operativo, rispetto per le autorità libanesi e capacità di intervento rapido e agile in un contesto complesso e in continua evoluzione. Per quanto riguarda Unifil, va detto che è diventata non solo un baluardo di sicurezza, ma anche un laboratorio di cooperazione e fiducia tra eserciti, istituzioni e comunità civili, un microcosmo di multilateralismo concreto in un Medio Oriente in continua fibrillazione.

Con il rinnovo del mandato fino al 31 dicembre 2026, Unifil entra in una fase di profonda trasformazione…

Non è una semplice proroga, ma una transizione responsabile, che segna il passaggio da una forza di stabilizzazione internazionale a un motore di sovranità libanese. Per questo bisogna preparare il terreno affinché la sicurezza diventi un bene pienamente gestito dai libanesi stessi. Il nostro compito è accompagnare le Laf nel processo di assunzione delle responsabilità operative, logistiche e di sicurezza a sud del Litani, affinché la pace diventi sempre più una pace libanese, sostenuta ma non dipendente dalla presenza internazionale.

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La presenza italiana in Libano è sempre stata importante, fin dai tempi della missione guidata dal Generale Franco Angioni, recentemente scomparso. Una linea di azione basata sulla comprensione e sulla collaborazione con le popolazioni locali. È ancora valida quella linea di azione?

È un approccio pragmatico e lungimirante, che trasforma la Missione in un ponte tra stabilità e autonomia, senza rinunciare alla dimensione umana e diplomatica che da sempre caratterizza il peacekeeping italiano. Negli ultimi mesi la Missione ha intensificato la presenza sul terreno: pattugliamenti, monitoraggi, cooperazione costante con le Laf e contatti diretti con i sindaci e le autorità religiose del Sud. Non basta più controllare la linea del cessate il fuoco, bisogna rafforzare la fiducia reciproca e le capacità condivise. 

Questo vale anche per quanto riguarda la sicurezza? 

L’approccio è passato da una logica di deterrenza a una di partnership attiva, dove le forze Unifil e Laf lavorano fianco a fianco su addestramenti, logistica, interoperabilità e sorveglianza. I risultati sono tangibili, la cooperazione quotidiana ha ridotto gli incidenti, migliorato il coordinamento e consolidato la presenza dello Stato libanese nelle aree più sensibili.

In un contesto segnato da tensioni regionali, dalla crisi siriana alle frizioni tra Israele e Hezbollah, la stabilità del Sud del Libano rimane in un equilibrio delicato, basti pensare ai recenti bombardamenti israeliani nella Valle della Beqaa. L’Unifil riesce ancora  a rappresentare un punto fermo, un “cuscinetto operativo e diplomatico” capace di assorbire le onde d’urto della geopolitica?

L’area di responsabilità di Unifil si estende a un contesto geografico e politico complesso, che non si limita alla Blue Line. Sebbene il monitoraggio del confine con Israele resti la priorità, le dinamiche di sicurezza del Libano sono sempre più interconnesse, e la Missione deve tenere conto delle sfide emergenti nella Valle della Beqaa e nelle zone interne del Paese. Nella Beqaa, area strategica che collega il Sud con la Siria e con le principali vie di traffico commerciale e umanitario, si registrano crescenti tensioni legate al contrabbando di armi e carburante, alla presenza di gruppi armati non statali e al peggioramento delle condizioni economiche e sociali. Questi fattori rischiano di avere ricadute dirette anche sul Sud, alimentando instabilità, movimenti irregolari e tensioni intercomunitarie. In coordinamento con le autorità libanesi, Unifil mantiene un’attività di monitoraggio e scambio informativo costante con le agenzie di sicurezza nazionali e con la catena di comando delle Laf, al fine di contribuire, nei limiti del mandato, a una visione integrata della sicurezza nazionale. 

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Dalla stabilità del Sud del Libano dipende fondamentalmente quella dell’intero Paese. Come si colloca Unifil in questa ottica di sicurezza?

La sicurezza deve essere vista come un continuum territoriale e istituzionale. Questa capacità di lettura ampia del contesto, che include anche le vulnerabilità della Beqaa e la pressione sui confini orientali, fa di Uifil non solo un presidio operativo, ma un osservatorio privilegiato delle dinamiche di sicurezza libanesi, utile al coordinamento tra governo, Laf e Nazioni Unite. 

C’è la convinzione diffusa che il tratto distintivo della leadership italiana è la prossimità umana…

Accanto alle attività militari, Unifil promuove iniziative di sostegno diretto alle popolazioni locali: riapertura di scuole e centri medici, installazione di pannelli solari e generatori elettrici, distribuzione di medicinali e materiale scolastico, microprogetti per donne e giovani disoccupati. La pace non si costruisce solo con le pattuglie o con gli accordi diplomatici, ma con la fiducia e la speranza delle persone. I risultati sono visibili: centinaia di famiglie sfollate hanno potuto fare ritorno ai propri villaggi, e le comunità del Sud vedono nei caschi blu non solo dei militari, ma degli alleati della normalità. 

In un’epoca in cui le linee di frattura globali si moltiplicano, cosa rappresenta davvero la presenza di Unifil? 

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“Rappresenta un esempio di multilateralismo efficace: una forza che non impone, ma accompagna; che non occupa, ma costruisce capacità. La nostra forza è la sinergia, non la presenza numerica. È una filosofia che si riflette nel quotidiano lavoro di migliaia di peacekeeper provenienti da circa 50 Paesi diversi, uniti dallo stesso principio: proteggere senza dominare, ascoltare prima di agire, garantire sicurezza per rendere possibile la vita civile. Mentre le tensioni regionali restano alte e il Libano affronta una crisi economica e istituzionale senza precedenti, Unifil continua a rappresentare un pilastro di stabilità, sicurezza e solidarietà umana nel Sud del Paese. Le attività di monitoraggio lungo la Blue Line si intrecciano con progetti di resilienza sociale,sostenendo la fiducia tra cittadini e istituzioni e dimostrando che pace e sviluppo sono due facce della stessa medaglia. Nei villaggi del Sud, i peacekeeper non sono solo osservatori: sono facilitatori del dialogo, garanti di una normalità che il Libano, nonostante tutto, continua a inseguire. In un tempo in cui le missioni di pace rischiano di perdere consenso e visibilità, Unifil resta quindi un esempio di missione viva, utile e credibile. E l’Italia, ancora una volta, dimostra che il suo ruolo nel mondo non si misura solo con la forza militare, ma con la capacità di costruire relazioni, stabilità e speranza. Unifil non si limita a mantenere la stabilità: prepara il terreno per una pace duratura, sostenibile e guidata dai libanesi stess”i.

D’altra parte, oggi più che mai, la parola pace sembra essere passata in secondo piano nelle dinamiche mondiali. Ma dal Sud del Libano, dalle irrequiete sponde del Mediterraneo, arriva una lezione che dimostra che la pace non è un evento, ma un esercizio quotidiano di responsabilità e umanità. E dal linguaggio sobrio di un militare emerge una lezione universale: la pace non è un’utopia, è un mestiere. 

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