Le pressioni e le sanzioni imposte contro la Corte penale internazionale (CPI) rappresentano molto più di un semplice attacco istituzionale: colpiscono i principi fondamentali del diritto internazionale, indeboliscono lo stato di diritto e minano la fiducia nelle istituzioni globali.
È quanto ha denunciato la presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Annalena Baerbock, nel corso della presentazione del rapporto annuale del tribunale internazionale con sede all’Aia.
Baerbock ha sottolineato che alcuni giudici e pubblici ministeri della Corte sono stati oggetto di sanzioni da parte degli Stati Uniti, in risposta all’emissione, con il sostegno dell’Onu, di mandati di arresto nei confronti del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del suo allora Ministro della Difesa Yoav Gallant, per presunti crimini di guerra a Gaza. Le misure americane includono il congelamento dei beni e delle disponibilità finanziarie del personale della Corte negli Stati Uniti, oltre al divieto di ingresso nel Paese.
La presidente dell’Assemblea generale ha ribadito che la CPI è stata fondata sul principio secondo cui la giustizia è un dovere universale, indispensabile per prevenire l’impunità e proteggere le vittime di atrocità. “Eppure – ha aggiunto – mentre assistiamo a violenze e crimini che sconvolgono la coscienza dell’umanità, la missione della Corte è sotto attacco”. Secondo l’Onu, le sanzioni statunitensi costituiscono una chiara ingerenza: i funzionari della Corte sono stati puniti per aver fatto semplicemente il loro dovere, difendendo lo stato di diritto e chiedendo conto delle azioni dei potenti, mentre gli stessi sistemi della Corte sono stati oggetto di attacchi informatici volti a minarne la credibilità.
La presidente della CPI, la giudice Tomoko Akane, ha ricordato che le sentenze della Corte servono a ribadire che la giustizia trascende i confini e gli interessi politici, ma quando i giudici vengono sottoposti a pressioni, minacce o tentativi di destabilizzazione, il diritto internazionale stesso viene messo in pericolo, lasciando spazio a guerre, repressione e impunità.
Presentando il rapporto annuale, Akane ha evidenziato che la Corte ha ascoltato oltre 18.000 vittime in casi in corso, inclusi quelli relativi a crimini gravi in Sudan, Afghanistan e Israele. Tuttavia, ha sottolineato che i mandati di arresto possono essere eseguiti solo con la cooperazione degli Stati, evidenziando la fragilità di un sistema internazionale costantemente messo sotto pressione da chi calpesta le regole del diritto universale.
La gravità dell’attacco alla CPI non può essere sottovalutata: colpire la Corte significa attaccare il fondamento stesso della giustizia internazionale, aprendo la porta all’impunità dei potenti e lasciando le vittime senza tutela.