Donald Trump si trova di fronte alla prospettiva di un voto politicamente esplosivo al Congresso sulla desecretazione dei file di Jeffrey Epstein, dopo che i tentativi di convincere due deputate repubblicane a ritirare il loro sostegno all’iniziativa sembrano falliti.
Le parlamentari Lauren Boebert (Colorado) e Nancy Mace (Carolina del Sud) hanno infatti rifiutato di ritirare la loro firma dalla petizione che costringerebbe la Camera dei rappresentanti a votare sulla pubblicazione dei documenti, lasciando Trump esposto a un tema potenzialmente devastante per la sua base elettorale.
Secondo quanto riportato dal New York Times, Boebert sarebbe stata invitata da Trump alla Casa Bianca nel tentativo di farle cambiare idea, poche ore dopo che i Democratici del comitato di vigilanza della Camera avevano diffuso una serie di email tratte dai file Epstein, nelle quali il finanziere scriveva che Trump “sapeva delle ragazze”. Le email suggerirebbero che l’ex presidente fosse più a conoscenza delle attività di traffico sessuale minorile di Epstein di quanto abbia ammesso in passato.
Durante l’incontro, la Casa Bianca avrebbe coinvolto anche l’ex procuratrice generale Pam Bondi e il direttore dell’FBI Kash Patel per esercitare pressioni su Boebert, arrivando poi — secondo le fonti del quotidiano — a formulare minacce velate quando i tentativi di persuasione non hanno funzionato. La deputata, convinta così che ci fosse “un tentativo di insabbiamento”, avrebbe deciso di mantenere la propria posizione.
Trump avrebbe anche cercato di contattare Nancy Mace, candidata alla carica di governatrice della Carolina del Sud, ma senza successo. Mace gli ha poi inviato una lettera in cui spiegava la sua storia personale di abusi sessuali e stupro, chiarendo che proprio per questo motivo non avrebbe potuto ritirare la sua firma dalla petizione. Su X (ex Twitter) ha scritto che “la questione Epstein è profondamente personale”.
Anche altri due deputati repubblicani — Marjorie Taylor Greene e Thomas Massie — hanno sottoscritto la petizione. Con la recente entrata in carica della democratica Adelita Grijalva, eletta in Arizona, è stata raggiunta la soglia delle 218 firme necessarie per portare la proposta al voto della Camera.
I Democratici accusano lo speaker Mike Johnson di aver ritardato intenzionalmente il giuramento di Grijalva per impedire che la petizione ottenesse abbastanza voti e per proteggere Trump. Secondo il deputato democratico Ro Khanna, da 40 a 50 repubblicani potrebbero votare a favore della pubblicazione dei file, unendosi ai Democratici. La proposta dovrebbe poi passare al Senato, dove difficilmente verrebbe approvata; in ogni caso, Trump avrebbe il potere di porre il veto anche se superasse entrambe le Camere.
Il solo rischio di un voto favorevole, tuttavia, rappresenta una minaccia politica per Trump, poiché potrebbe alimentare le pressioni all’interno della sua stessa base affinché i file vengano desecretati, minando ulteriormente la sua credibilità.
Un alleato di Trump, citato da Politico, ha commentato che la pubblicazione delle email “ha riportato a galla questioni già complicate per il presidente, amplificandone gli effetti”.
La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha liquidato la vicenda come “una manovra di distrazione orchestrata dai Democratici e dai media liberal”, lamentando che le domande su Epstein stiano “oscurando il successo del presidente nel porre fine al blocco del governo federale”, che con i suoi 43 giorni è stato il più lungo nella storia degli Stati Uniti.
La riemersione del caso Epstein arriva dunque in un momento delicatissimo per Trump, tra le tensioni interne al Congresso, la crisi politica del suo partito e le crescenti domande su quanto davvero sapesse del più oscuro scandalo di sfruttamento sessuale degli ultimi decenni.
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