L'Ungheria di Orbán accusa Ilaria Salis di "terrorismo" mentre applaude Trump che ha liberato i terroristi veri

Zoltán Kovács, portavoce del governo, ha accusato il Parlamento europeo di garantire “impunità a una terrorista di sinistra” grazie all’immunità parlamentare

L'Ungheria di Orbán accusa Ilaria Salis di "terrorismo" mentre applaude Trump che ha liberato i terroristi veri
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14 Novembre 2025 - 16.41


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L’Ungheria di Viktor Orbán torna ad attaccare il Parlamento europeo e a strumentalizzare il caso di Ilaria Salis, trasformando una vicenda giudiziaria controversa in un’arma di propaganda. Per il governo ungherese, l’eurodeputata italiana eletta nelle liste del PD sarebbe una “terrorista” protetta da Bruxelles. Una definizione che appare sempre più come un’etichetta politica, non come un dato di fatto.

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A riaccendere le tensioni è stato Zoltán Kovács, portavoce del governo, che ha accusato il Parlamento europeo di garantire “impunità a una terrorista di sinistra” grazie all’immunità parlamentare. Kovács sostiene che Salis sia legata ad Antifa Ost, gruppo antifascista attivo nell’Europa centrale, etichettato da Budapest – e solo da Budapest, fino al 2025 – come “organizzazione terroristica”. La decisione ungherese è arrivata in un clima politico già segnato da anni di retorica contro l’opposizione, i media indipendenti e il pluralismo.

Un’accusa nata nel cuore del sistema illiberale ungherese

Ilaria Salis, insegnante e militante antifascista, venne arrestata l’11 febbraio 2023 dopo una colluttazione avvenuta durante una marcia di estrema destra a Budapest. Nelle ricostruzioni delle autorità ungheresi l’episodio è stato presentato come “assalto brutale” compiuto da “terroristi di sinistra”.
Ma il contesto racconta altro: gli scontri avvennero durante un raduno di gruppi neonazisti, che da anni sfilano nella capitale ungherese con una libertà sconosciuta in gran parte d’Europa.

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Salis ha sempre respinto le accuse di terrorismo. Per 16 mesi la sua detenzione è stata segnata da condizioni considerate degradanti persino da osservatori internazionali: catene ai polsi durante le udienze, isolamento, trattamenti incompatibili con gli standard europei. Un quadro che ha alimentato dubbi sulla reale natura del processo, inserito in un sistema giudiziario più volte contestato dall’UE per la sua mancanza di indipendenza.

Da Budapest un attacco politico più che giudiziario

L’elezione di Salis al Parlamento europeo nel giugno 2024 ha interrotto la detenzione grazie all’immunità parlamentare. Una svolta giuridica che Budapest ha interpretato come sfida politica. Da allora la comunicazione del governo ungherese ha ripetuto ossessivamente la parola “terrorismo”, ignorando che né i tribunali europei né il Parlamento europeo abbiano mai attribuito ad Antifa Ost quella qualificazione.

Le richieste ungheresi di revocare l’immunità sono state respinte da Bruxelles perché considerate “motivate politicamente”. Una formula insolita, che sottolinea la convinzione delle istituzioni europee: il caso Salis viene strumentalizzato dal governo Orbán per colpire il dissenso e rafforzare la narrativa del “nemico interno”.

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Budapest usa il caso per colpire Bruxelles

Nel suo nuovo attacco del 14 novembre 2025, Kovács ha rilanciato una versione costruita in piena sintonia con la retorica della Fidesz: chi si oppone all’estrema destra è automaticamente un estremista violento; chi critica il governo è parte di un complotto internazionale; chi denuncia gli abusi nelle carceri ungheresi è “nemico dello Stato”.

Il governo ungherese ha usato anche la recente designazione del Dipartimento di Stato USA – contestata dal mondo accademico e dai gruppi per i diritti civili – come arma propagandistica per legittimare la propria impostazione. Washington parla di “azioni violente coordinate”, non di terrorismo politico strutturato; Budapest interpreta la definizione come un lasciapassare per colpire movimenti antifascisti e oppositori interni.

Un caso che rivela la deriva ungherese

Il governo Orbán continua a presentare il proprio operato come lotta al “terrorismo di sinistra”. Ma dietro la retorica si intravede un altro scenario: l’uso sistematico del codice penale per silenziare attivisti, ONG, giornalisti e oppositori politici.
Il caso Salis si inserisce perfettamente in questa traiettoria, iniziata più di dieci anni fa con il progressivo smantellamento dello Stato di diritto e l’erosione delle libertà politiche in Ungheria.

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Mentre la procedura di infrazione europea va avanti, Budapest insiste con una narrazione che mira a delegittimare Bruxelles e a criminalizzare chiunque contesti la sua linea politica. Ilaria Salis, da figura coinvolta in un episodio di piazza, è diventata per Orbán un utile bersaglio simbolico.

E nell’Ungheria odierna, governata da un potere sempre più concentrato, è sufficiente questo per trasformare un’avversaria politica in una “terrorista”.

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