Gli Stati Uniti stanno pianificando una divisione a lungo termine della Striscia di Gaza in due aree: una “zona verde”, sotto controllo militare israeliano e internazionale dove avviare la ricostruzione, e una “zona rossa”, destinata a restare in rovina.
Secondo documenti militari visionati dal Guardian e fonti informate dei piani americani, forze straniere verranno inizialmente dispiegate accanto ai soldati israeliani nella parte orientale di Gaza, tracciando una linea di separazione lungo l’attuale “linea gialla”, controllata da Israele.
«Idealmente si vorrebbe unificare il territorio, ma per ora è solo un obiettivo», ha dichiarato un funzionario statunitense anonimo. «Ci vorrà tempo e non sarà facile».
Questi progetti sollevano dubbi sull’impegno di Washington a trasformare l’attuale cessate il fuoco, annunciato il mese scorso, in un accordo politico duraturo con un’amministrazione palestinese su tutta Gaza, come promesso da Donald Trump.
Per settimane gli Stati Uniti avevano sostenuto un piano basato su campi recintati per piccoli gruppi di palestinesi, le cosiddette “comunità sicure alternative” (ASC). Questa settimana, però, il progetto è stato abbandonato. Le organizzazioni umanitarie, che avevano espresso forti critiche, non risultano ancora informate di tale cambiamento.
Senza un piano realistico per una forza internazionale di peacekeeping, il ritiro dell’esercito israeliano e un vasto programma di ricostruzione, Gaza rischia di restare in una situazione sospesa: né guerra né pace, con attacchi regolari, occupazione permanente, assenza di autogoverno palestinese e ricostruzione minima.
Il pilastro del piano in 20 punti elaborato da Trump è la creazione di una forza internazionale di stabilizzazione (ISF). Gli Stati Uniti sperano che una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU che ne autorizzi l’operato venga approvata entro la prossima settimana, con l’annuncio formale dei contributi militari subito dopo.
Trump ha escluso l’impiego di soldati americani sul terreno o il finanziamento della ricostruzione: «Gli Stati Uniti vogliono definire la visione, non pagarla», ha osservato una fonte diplomatica.
Documenti del comando regionale USA (Centcom) prevedevano inizialmente un ruolo centrale delle forze europee – inclusi centinaia di soldati britannici, francesi e tedeschi – all’interno dell’ISF. Tra le ipotesi c’erano fino a 1.500 militari britannici specializzati in bonifica di ordigni e supporto medico, e fino a 1.000 francesi per sicurezza e sminamento delle strade. Si prevedeva inoltre l’impiego di forze tedesche, olandesi e nordiche in compiti logistici, medici e di intelligence.
Una fonte ha definito questi piani “irrealistici”. Dopo le missioni in Iraq e Afghanistan, pochi governi europei sono disposti a rischiare vite umane a Gaza. Solo l’Italia ha espresso una possibile disponibilità.
I documenti, non classificati, sembrano essere già stati superati dagli eventi. Un funzionario americano ha affermato che molte cifre erano inaccurate e che gli Stati Uniti non si aspettano che le truppe europee costituiscano il nucleo della ISF.
Il piano iniziale includeva anche un possibile contributo della Giordania – centinaia di soldati di fanteria leggera e fino a 3.000 poliziotti – nonostante il re Abdullah abbia escluso l’invio di truppe, giudicandolo politicamente insostenibile per il proprio Paese, dove oltre metà della popolazione è di origine palestinese.
Ad oggi, gli Stati Uniti prevedono contributi da un gruppo ampio di “Paesi NATO e partner”, distribuiti tra Europa, Asia e Medio Oriente.
Secondo un documento operativo, i militari stranieri saranno impiegati esclusivamente nella “zona verde”. Il dispiegamento dovrebbe iniziare con poche centinaia di soldati in un’area limitata, per poi crescere fino a circa 20.000 effettivi. Non entreranno invece nella zona ovest della linea gialla, dove Hamas sta recuperando il controllo.
Un altro documento prevede la presenza di soldati stranieri ai valichi lungo la linea di controllo, dopo una fase di “integrazione” con le forze israeliane già schierate, prospettiva che preoccupa i Paesi potenzialmente coinvolti, timorosi di ritrovarsi nel mezzo di scontri o di essere accusati di sostenere l’occupazione israeliana.
Il piano stabilisce che l’esercito israeliano “valuterà le condizioni per un ritiro” soltanto in una fase successiva, senza alcuna tempistica. La riunificazione di Gaza, ha affermato il funzionario USA, sarà parte di un processo verso stabilizzazione, pace duratura e transizione al governo civile, ma senza una data definita.
Il piano in 20 punti di Trump prevede una nuova forza di polizia palestinese come soluzione di sicurezza interna a lungo termine, ma le mansioni attribuite dai pianificatori americani sono limitate: 200 reclute iniziali, fino a 3.000-4.000 agenti in un anno, circa un quinto della presenza complessiva di sicurezza prevista.
Sul fronte della ricostruzione, i pianificatori americani immaginano che il miglioramento delle condizioni nella “zona verde” possa convincere alcuni palestinesi a trasferirsi lì, dando impulso alla riunificazione del territorio senza azioni militari.
Tuttavia, la sola idea di una “zona verde” rievoca i fallimenti in Iraq e Afghanistan, dove queste aree protette finirono per rappresentare enclave scollegate dalla popolazione locale.
L’ipotesi di attirare i civili palestinesi in un’area sotto controllo israeliano, dopo due anni di guerra definita genocida da una commissione ONU, richiama precedenti strategie statunitensi rivelatesi disastrose.
Il piano prevede la smilitarizzazione delle fazioni palestinesi e un futuro ritiro israeliano verso un “perimetro di sicurezza” ricavato da territorio palestinese, che consentirebbe l’avvio della ricostruzione “a beneficio della popolazione”.
La necessità è urgente: secondo dati ONU, oltre l’80% delle strutture di Gaza è stato danneggiato o distrutto, comprese quasi tutte le scuole e gli ospedali.
Nonostante il cessate il fuoco in vigore da più di un mese, Israele continua a limitare gli ingressi di aiuti, bloccando anche materiali essenziali come pali per tende, classificati come “a doppio uso”.
Quasi 1,5 milioni di palestinesi attendono ripari d’emergenza e centinaia di migliaia vivono in tende senza acqua potabile o servizi di base. Oltre 2 milioni di persone sono concentrate nella “zona rossa”, una fascia costiera che rappresenta meno della metà della superficie di Gaza.
