Israele accusato di centinaia violazioni a Gaza mentre la fragile pausa umanitaria crolla tra morti e sofferenze continue

A un mese dall’entrata in vigore del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, il quadro che emerge è quello di una tregua violata in modo sistematico.

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15 Novembre 2025 - 13.04


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A un mese dall’entrata in vigore del cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, il quadro che emerge è quello di una tregua violata in modo sistematico. Israele è accusato di aver infranto l’accordo almeno 282 volte, provocando la morte di 242 palestinesi e il ferimento di altri 622, secondo i dati dell’Ufficio Media del Governo di Gaza e del Ministero della Salute palestinese. La tregua, formalmente siglata il 13 ottobre 2025 in una cerimonia internazionale guidata dal presidente statunitense Donald Trump, prevedeva la fine delle ostilità, l’ingresso agevolato degli aiuti umanitari e lo scambio di prigionieri. Ma la realtà che emerge sul terreno, documentata da un’analisi di Al Jazeera, racconta altro: in 25 dei 31 giorni successivi all’entrata in vigore del cessate il fuoco, Israele ha condotto operazioni militari, lasciando appena sei giorni senza morti o feriti.

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Nel dettaglio, le violazioni attribuite alle forze israeliane includono sparatorie contro civili, incursioni oltre la cosiddetta “linea gialla”, bombardamenti aerei e di artiglieria, demolizioni di abitazioni e nuovi arresti. Una sequenza continua che ha reso la tregua un fatto più formale che sostanziale. Parallelamente, la crisi umanitaria si aggrava: Israele ha impedito l’ingresso di oltre 350 prodotti alimentari essenziali, consentendo invece l’arrivo di snack e bevande zuccherate prive di valore nutritivo. Il Programma Alimentare Mondiale segnala che solo la metà del fabbisogno minimo raggiunge Gaza, mentre le agenzie palestinesi parlano addirittura di un quarto rispetto a quanto concordato.

I numeri dell’ONU raccontano l’insufficienza sistemica degli aiuti: tra il 10 ottobre e il 9 novembre sono entrati 3.451 camion, lontanissimi dai 600 al giorno previsti. L’Ufficio Media di Gaza calcola 4.453 camion al 6 novembre su un totale di 15.600 pattuiti. Le ispezioni israeliane, denunciano i conducenti, rallentano in modo deliberato le operazioni. La Casa Bianca sostiene invece che quasi 15.000 camion siano entrati nella Striscia, cifre contestate sia dalle autorità palestinesi sia dalle organizzazioni umanitarie internazionali.

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Le giornate del 19 e del 29 ottobre segnano i picchi più sanguinosi della tregua violata. Il 19 ottobre Israele ha bombardato Rafah sostenendo che Hamas avesse infranto l’accordo dopo l’uccisione di due soldati, causando 45 morti. Hamas ha negato ogni responsabilità, ricordando che l’area è controllata militarmente da Israele. Il 29 ottobre un nuovo scontro, sempre a Rafah, ha provocato la morte di un soldato israeliano, seguito da una rappresaglia che ha ucciso 109 palestinesi, di cui 52 bambini. In quella stessa giornata si è consumata anche la controversia sul corpo restituito da Hamas tramite la Croce Rossa e non corrispondente a uno dei prigionieri previsti dallo scambio. Trump, commentando gli attacchi israeliani, ha definito la risposta “necessaria”.

Lo scambio di prigionieri procedeva su binari già fragili. Hamas ha liberato i 20 ostaggi israeliani viventi il 13 ottobre e ha consegnato 24 corpi su 28, spiegando che gli altri quattro si trovano sotto macerie provocate dai bombardamenti israeliani. Israele, nel frattempo, ha restituito 300 corpi palestinesi, molti mutilati o con segni di tortura. L’accordo prevede ulteriori scambi: 28 corpi israeliani contro 360 palestinesi.

Il cessate il fuoco nasceva da un documento americano in 20 punti del 29 settembre, redatto senza partecipazione palestinese. Prevedeva il ritiro israeliano alla “linea gialla”, la fine delle ostilità e lo sblocco degli aiuti. La mediazione è passata per Egitto, Qatar e Turchia, ma né Israele né Hamas hanno partecipato alla cerimonia di firma, un segnale che oggi appare come un presagio dell’instabilità attuale. Washington insiste che la tregua “regge”, malgrado la realtà sul terreno racconti l’opposto. Sul piano del diritto internazionale, ricorda l’Istituto Lieber, le violazioni di un cessate il fuoco infrangono accordi politici ma non sempre costituiscono automaticamente una violazione della legge internazionale, a meno che non siano previste da un trattato o da una risoluzione ONU.

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Il bilancio complessivo dal 7 ottobre 2023 al 10 novembre 2025 continua a essere abissale: almeno 69.179 palestinesi uccisi, compresi 20.179 bambini, e oltre 170.000 feriti. Una conta che racconta una tragedia umanitaria che non arretra nemmeno nei periodi che dovrebbero essere dedicati alla de-escalation.

La tregua, nata fragile, appare oggi appesa a un filo sottilissimo. Ogni violazione israeliana ne erode ulteriormente la credibilità e ostacola la possibilità di un processo politico credibile. Senza un rispetto rigoroso degli accordi, senza un afflusso adeguato di aiuti e senza un impegno autentico a porre fine all’assedio, la “linea gialla” rischia di diventare solo un altro simbolo del divario tra promesse e realtà. In un conflitto che dura da decenni, la pace non può più permettersi tregue di carta.

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