Se la nostra indignazione non è la stessa, in entrambi i casi c’è qualcosa che non va in noi.
O denunciamo entrambe, per quanto siano diverse le guerre che le causano, o, sì, la nostra indignazione selettiva ci rende complici di genocidio.
Un altro video di Denis Kazansky mi insegna, dalla bocca stessa di Pouchiline, la mafia che gestisce, agli ordini di Putin, il Donbass occupato, che, finalmente, no, non ci sarà più ricostruzione, una volta finita la guerra, per la maggior parte delle città e dei villaggi distrutti, distrutti e lasciati abbandonati dalla loro distruzione.
Non ci sarà ricostruzione perché non c’è motivo di ricostruire, spiega lui, quando le risorse economiche, le miniere, vengono distrutte da sole.
Penso a questi paesi, a queste terre di sangue, secondo la terribile espressione di Timothy Snyder, che ha conosciuto tutte le guerre, e all’industrializzazione forzata di Stalin, e all’Holodomor, e alla vita nazista e sovietica, tutto incentrato sull’estrazione del carbone, che oggi ha no, e in tutto mondo, nessun futuro.
Ma qui, mentre nella maggior parte dei paesi, con crisi terribili, traumi incalcolabili, proponiamo, sia buone che cattive, e sempre piuttosto cattive e buone, soluzioni di conversione alle persone che ci vivono, nel Donbass, non c’è politica di conversione, perché non c’è gente.
Non c’è più nessuno nei territori occupati da marzo-aprile 2022, circa il 5% della popolazione originaria, al massimo, e, la maggior parte, vecchi, persone che non volevano, e non potevano andarsene, persone, come ho detto qualche giorno fa, che dipendono dagli “aiuti alimentari”: russi che, il più delle volte, non arrivano e muoiono molto velocemente.
Cioè, tutti i territori conquistati sono deserti, e deserti di rovina. Rovine industriali, rovine urbane, borghi in rovina, paesaggi devastati, terreni incoltivabili per quantità di miniere, prodotti chimici, oltre migliaia di chilometri quadrati.
La miseria sovietica è stata sostituita dalla miseria portata dalla mafia di Putin, Russia.
Ed è lo stesso schema in tutti i posti dove c’era vita.
Da una società che lotta per sopravvivere, e inizia a cercare modi di sviluppo oltre alle industrie inquinanti e poco redditizie, siamo andati al nulla.
Niente industrie, niente vita, niente persone. Niente.
E questo, in nome della liberazione degli abitanti dell’oppressione, non è questo, flagista. L’ elemento di distrazione è che queste terre sono oggi, dal punto di vista della Russia, ovviamente non riconosciute da nessuno, tranne Trump, che chiede solo di farlo, parte integrante della Russia la federazione cioè è stato ufficialmente detto, dalle massime autorità dello stato, in questo caso dal rappresentante diretto di Putin sul posto, Denis Pouchiline, che la Russia si è espansa territorialmente solo da rovine e terre diventate inadatte alla vita, compresa la vita animale, non si parla di disastro ecologico per la fauna selvatica nelle foreste devastate dalla guerra, e questo, la ricostruzione non è, come dice lui, “economicamente ragionevole”, significa che la Russia manterrà quei territori come spazi vuoti, zone cuscinetto, una sorta di profondità di decine di miglia.
Vi ricordo, al momento in cui scrivo, esiste, in tutti questi territori, un solo e unico programma di ricostruzione, a Mariupol, e questo programma implica un cambiamento di popolazione:
i superstiti dell’assedio sono privati di ogni risarcimento per le loro abitazioni distrutte, e, ridotta Miseria, privati, per la maggior parte dei lavori, perché non ce ne sono più, semplicemente, si propone di acquistare nuovi appartamenti a prezzo di mercato, prezzi che sono saliti alle stelle e sono solo alla portata dei nuovi arrivati.
Nulla è stato ricostruito a Severodonetsk, a Lisichansk, negli ultimi due anni, solo che non abbiamo cambiato una finestra degli edifici ancora in piedi, e tutte le altre città, Avdeevka, Bakhmout, Ougledar, voglio dire, sono tutte distrutte al punto che non c’è più un edificio vivibile e che non sia rischioso.
Poi, Denis Pouchiline propone una soluzione, per trarre profitto, da queste rovine:
non solo non ricostruiamo, ma preserviamo lo stato perché questi vecchi luoghi della vita diventeranno, non tutti, “musei di gloria militare”, questo è il termine ufficiale.
Verranno organizzati tour, per i turisti, perché c’è un mercato, figuriamoci, per questo tipo di turismo, e per esaltare la “eroica resistenza” russa durante questa guerra contro i “nazisti ucraini e la NATO”.
La questione di come ospitare questi turisti, che visiteranno le rovine, non si pone ancora, ma l’idea stessa si pone come atto ufficiale. Alla fine diventerà una sorta di grande parco divertimenti, senza le ruote grandi e senza Topolino, ovviamente.
No, solo con queste rovine, lasciate lì, come per l’eternità.
Sarà un turismo senza dubbio un po’ ripetitivo.
Cosa faremo con i sopravvissuti, se ci sono ancora dei sopravvissuti?
Non saprei. Chi sa lavorare, alcune donne, probabilmente, potrebbe servire i turisti. I vecchi non ancora morti farebbero degli extra, come in uno zoo umano.
Si vedono le rovine di Gaza, questi video di droni, dalla vista di un uccello, visto che i droni sono gli unici uccelli rimasti, anche lì.
Vedi quei tratti di palazzi crollati, quei blocchi di cemento che si sgretolano, proprio come dopo Stalingrado, non so, ma senza neve.
Contiamo i morti a Gaza, almeno 60.000, di cui più di tre quarti non combattenti, donne, bambini e anziani.
Inoltre, nel momento in cui scrivo, non vediamo alcun inizio di ricostruzione, ahimè, anzi!
ed esiste, come sappiamo, un progetto, muto, di ricostruzione radicale, senza i palestinesi.
Restiamo basiti, indignati, sì, consumati dall’indignazione.
Ma, ancora una volta, a Mariupol, proprio a Mariupol, ci sono stati 100.000 morti civili: donne, bambini, anziani,
e non so quante Gaza, in termini di area, siano uguali.
Se la nostra indignazione non è la stessa, in entrambi i casi c’è qualcosa che non va in noi.
O denunciamo entrambe, per quanto siano diverse le guerre che le causano, o, sì, la nostra indignazione selettiva ci rende complici di genocidio.