In questi anni, molto prima del 7 ottobre 2023, Globalist ha monitorato, documentato, seguito passo dopo passo il “suicidio d’Israele” (per usare il titolo del bellissimo libro di Anna Foa). Il suicidio di ciò che era stato il disegno originario dei padri fondatori dello Stato d’Israele, quello di un Paese inclusivo, non solo per gli ebrei sopravvissuti alla Shoah, fondato su due solidi pilastri identitari: essere il focolare del popolo ebraico e, assieme, una democrazia compiuta, uno Stato di diritto.
Israele oggi non è più questo. A guidarlo è un regime autocratico, etnocratico, dove a dettar legge è una destra suprematista, bellicista, che conosce solo la “legge” del più forte.
Se Israele è diventato questo è anche per un suicidio nel suicidio: quello della sinistra. L’abbiamo scritto più volte: prima che elettorale, la vittoria della destra è stata culturale. Gramscianamente, ha vinto la battaglia per l’egemonia culturale. La destra ha plasmato la psicologia di una nazione, favorita in questo da un centrosinistra perennemente sulla difensiva, privo di una visione, oltreché di una proposta politica, realmente alternativa. Ha giocato di rimessa e ha perso. Un risultato scontato. Perché se tu rincorri la destra sul suo terreno, limitandoti al più di mitigarne gli eccessi, finisci per apparirne una fotocopia. E tra una fotocopia sbiadita e l’originale, vince sempre la seconda. Non solo in Israele.
Il centrosinistra ha perso ben prima del 7 ottobre. E ha perso non solo perché non ha saputo o voluto contrastare la politica colonizzatrice della destra, in Cisgiordania, e il barbaro assedio pluridecennale di Gaza. Ha perso internamente, quando nel luglio del 2018, con l’eccezione dei partiti arabi e del Meretz, ha votato la legge che istituzionalizza il suprematismo ebraico: la legge su Israele, Stato della nazione ebraica, codificando così una disparità di trattamento e di considerazione tra gli israeliani ebrei e gli israeliani arabo-palestinesi, il 22% della popolazione, oltre un milione di persone, declassati a cittadini di serie B per ragioni etnico-religiose. L’apartheid interno che prefigura quello imposto in Cisgiordania. Quello che la destra messianica e parafascista ha evidenziato in tutta la sua devastante disumanizzazione è qualcosa che una minoranza illuminata, in Israele e nella diaspora, aveva da tempo denunciato: l’impossibilità di coniugare democrazia e occupazione, colonialismo e inclusione. Alla fine, il banco è saltato. Ed una scorciatoia illusoria quella, che pure fa ancora proseliti in Italia, di ritenere superabile questa deriva autocratica e suprematista, con l’uscita di scena di Benjamin Netanyahu.
A parte il fatto che questa uscita è tutt’altro che scontata, anzi, ma chi pensa che basti questo non ha contezza di ciò che è diventato il Likud, ridefinito da Netanyahu a sua immagine somiglianza, e quali siano i sentimenti che dominano in una parte tutt’altro che minoritaria della società israeliana. Il “bibismo” sopravviverà a Netanyahu, perché è già diventato sentire comune nell’elettorato di destra israeliano, e un centrosinistra che pensa ad una rivincita nel segno di “tutti, tranne Bibi”, si consegna all’assoluta irrilevanza.
Nell’Israele di oggi, l’ebreo che uccise Yitzhak Rabin vincerebbe le elezioni contro un arabo.
A darne conto, su Haaretz, è Odeh Bisharat, tra i più acuti analisti politici israeliani.
Annota Bisharat: “Il nazionalismo ebraico in Israele ha raggiunto proporzioni apocalittiche. Se, ad esempio, l’assassino del primo ministro Yigal Amir si candidasse contro qualche figura araba – diciamo, per il posto di direttore generale del Ministero della Cultura – vincerebbe quasi certamente. Perché? Perché è ebreo. In tempi difficili, non si lascia che un ebreo perda contro un gentile.
Il legislatore Benny Gantz, capo del partito Kahol Lavan, dopo aver stretto la mano a Itamar Ben-Gvir in occasione di un evento sociale, ha dichiarato: “È ebreo. Non lo umilierò”. Il valore ebraico è il fattore determinante, mentre il valore umano non viene nemmeno preso in considerazione; le regole del galateo non hanno alcun peso.
Questo è il paradosso in cui vivono i nazionalisti che si oppongono a Benjamin Netanyahu; questo è il nazionalismo cieco che acceca i loro occhi. Vale la pena ricordare che se Yitzhak Rabin fosse stato assassinato oggi invece che 30 anni fa, la nuova pena di morte introdotta dalla persona che Gantz non ha voluto umiliare non si sarebbe applicata ad Amir. Alcuni diranno che sto esagerando; vorrei che la situazione fosse diversa. Ma come si può spiegare altrimenti il fatto che il blocco anti-Netanyahu rifiuti ripetutamente di accettare il dono che i legislatori arabi gli stanno offrendo? Ciò consente al primo ministro di rimanere al potere, anche se quelle stesse persone lo considerano il pericolo più grande per il carattere di Israele e persino per la sua stessa esistenza. Non si rendono conto che devono scegliere uno dei due gruppi? O Ayman Odeh, Ahmad Tibi, Sami Abu Shehadeh e Mansur Abbas, oppure Ben-Gvir, Bezalel Smotrich, Tally Gotliv, Yariv Levin e Moshe Saada. Quale dei due gruppi rappresenta un pericolo per la capacità di Israele di rimanere un Paese normale?
Dopo il discorso di Netanyahu sulla “Fratellanza Musulmana”, che conteneva la minaccia di mettere fuori legge la Lista Araba Unita, UAL) il cosiddetto centro-sinistra, invece di condannare fermamente le sue dichiarazioni, è rimasto vergognosamente in silenzio, ad eccezione di Yair Golan, leader del partito dei Democratici.
E come a completare la minaccia di Netanyahu, il leader dell’opposizione Yair Lapid una volta ha detto: “L’UAL non può essere il 61° seggio del prossimo governo” – non vuole fare affidamento sull’UAL per far pendere la bilancia a favore della sua coalizione. Se le cose stanno così, come si può sostituire Netanyahu? Ecco il nazionalismo in tutta la sua miseria. Netanyahu scrive l’inizio e i suoi oppositori “liberali” completano la fine.
Si dice che le persone non vengono trascinate in paradiso con le catene. Davvero, cosa devono fare i rappresentanti dei cittadini arabi di Israele per salvare gli ebrei dalle fauci di Netanyahu e dei suoi alleati?
A giudicare dal comportamento di Lapid, l’opposizione non sembra volere la sostituzione di Netanyahu. Che assurdità: coloro che hanno bisogno degli arabi per rimuovere Netanyahu desiderano che gli arabi scompaiano e non li considerano nemmeno parte dell’opposizione, come ha scritto Iris Leal in queste pagine (“Chi sta escludendo i partiti arabi?”, 23 novembre).
Il loro nazionalismo è più forte delle loro aspirazioni ad assumere il potere, e Netanyahu, che ha smantellato l’intera infrastruttura della democrazia, è più vicino ai loro cuori di un arabo che cerca di unirsi a loro per salvare il Paese.
È importante condurre un’indagine approfondita sulla catena di eventi che si sono verificati negli ultimi giorni del governo di Nafatli Benett e Yair Lapid. All’epoca, Tibi, il presidente di Taal, si rivolse ai membri del governo Lapid-Bennett e si offrì di fornire al governo una rete di sicurezza. Fu respinto. Ecco, agli arabi non è permesso salvare gli ebrei dagli ebrei.
Ma Netanyahu non aveva questi problemi: quando aveva bisogno dei voti arabi, non ebbe alcun rimorso nel corteggiare la Lista Araba Unita.
Questa purezza razziale del blocco anti-Bibi è affascinante, ma anche disgustosa. Credo che si dovrebbero chiamare degli psicologi per spiegare il fenomeno. Anche se non sono uno psicologo, presumo che i sentimenti di inferiorità di quella che viene chiamata “la sinistra”, accusata di essere antipatriottica, la stiano spingendo verso questa posizione di estrema destra”, conclude Bisharat.
Le cose stanno così. Il suicidio del centrosinistra è avvenuto. Quello d’Israele…
Il “bibismo” non può prevalere
Uzi Baram è memoria storica d’Israele. Per il suo alto profilo politico e per essere stato testimone diretto e partecipe di alcuni momenti che hanno fatto la storia d’Israele. Baram, che fu tra i più stretti collaboratori e amico fidato di Yitzhak Rabin, non è uso a interviste o ad uscite pubbliche. Non è un malato di esposizione mediatica. Quando rompe il suo tradizionale riserbo è perché qualcosa di tragicamente eccezionale sta accadendo.
Scrive, sempre sul quotidiano progressista, Baram: “Israele è un Paese che funziona al contrario. I disaccordi non riguardano la sostanza, ma l’identità. La lotta tra destra e sinistra va avanti sin dalla fondazione dello Stato, e anche prima. Negli anni ’40, la lotta era incentrata su coloro che seguivano la leadership della comunità organizzata guidata da David Ben-Gurion e sui sostenitori della resistenza clandestina, che rifiutavano la leadership nazionale. Con il passare degli anni, le lotte sono rimaste le stesse, anche se sono cambiate le personalità che vi erano coinvolte.
La destra è cambiata. Si è sbarazzata di persone come Dan Meridor, Benny Begin, Limor Livnat e Michael Eitan, sostituendole con persone che non hanno alcun legame con la destra attivista e liberale di Menachem Begin. La sinistra, nel frattempo, è crollata ed è stata sostituita da partiti centristi che hanno tratto la loro forza da questa caduta.
Solo ora abbiamo assistito alla nascita di una sinistra sionista forte e militante, che tuttavia rimane incapace di sostituire il Likud al potere. Il Likud ha vacillato gravemente nel primo governo di Benjamin Netanyahu e ha perso il potere a favore di Ehud Barak, Ariel Sharon, Ehud Olmert e Tzipi Livni. Ma quando è finalmente tornato al potere nel 2009, non era più il Likud di un tempo, bensì una mutazione che alla fine si è guadagnata il nome di Bibi-ismo.
Il Bibi-ismo non è identico alla destra. Il Likud non manca di elettori che non sono Bibi-isti, ma credono in una difesa attivista e vedono il conflitto con i palestinesi come eterno.
Ma la mutazione bibista è diventata sempre più dominante e aggressiva. Il bibismo, come suggerisce il nome, consiste nell’adorare Benjamin Netanyahu e comprare tutto ciò che vende. Si tratta di una minoranza, anche se gode di un forte sostegno ed è strettamente legata all’esistenza religiosa-nazionale di Israele e a personaggi come Itamar Ben-Gvir, il futuro simbolo del bibismo. I bibisti come Nissim Vaturi, Shlomo Karhi, Tally Gotliv e altri sono più vicini all’eredità di Kahane che a quella di Begin.
Chiunque abbia incontrato dei sostenitori di Bibi sa che vedono il mondo in termini chiari, ma altamente selettivi, basati sul presupposto che il leader non sbaglia mai. Il tipico sostenitore di Bibi non discuterà con voi degli aiuti ad Hamas che Netanyahu ha organizzato attraverso il Qatar. Vi dirà che è stato il governo Bennett-Lapid a farlo.
La grazia che Netanyahu ha ora richiesto si inserisce perfettamente nella narrativa dei sostenitori di Netanyahu: le accuse erano false, quindi l’atto d’accusa deve crollare e con esso lo “Stato profondo” che era dietro la persecuzione del grande leader israeliano. In questo contesto, la stella del personaggio più ridicolo di tutti, Tally Gotliv, continua a salire.
Il sostegno a Netanyahu non può prevalere perché è l’opposto della tolleranza e del libero pensiero. La sua interpretazione della realtà è un insieme di complotti e cospirazioni che stanno distruggendo le fondamenta democratiche di Israele.
Molti israeliani hanno chiesto a Netanyahu di assumersi la responsabilità delle sue azioni che hanno portato al 7 ottobre e alla guerra di Gaza. Da parte sua, non ha mai espresso alcun segno di rimorso. Perché dovrebbe? Il tipico sostenitore di Bibi è certo che egli sia irreprensibile: “Se lo avessero svegliato in tempo, tutto sarebbe stato diverso”.
Un perdono che precede una condanna o che non include un’ammissione di colpa è senza precedenti e soddisferebbe il desiderio più grande del tipico sostenitore di Bibi di porre fine al processo a Netanyahu e, con esso, alla democrazia israeliana”, conclude Baram.
Israele cancellato dal “Bibistan”. Ma in Italia, anche a sinistra, non lo si intende. Forse farebbero bene a leggere Haaretz.
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