A Gaza si continua a morire anche quando non parlano le armi. La vita di Rahaf Abu Jazar, una bambina di otto mesi, si è spenta nella notte tra pioggia, vento e freddo, mentre la tempesta Byron flagellava il sud della Striscia già devastata dalla guerra. La piccola viveva con la famiglia in una tenda di Khan Younis, una delle migliaia di improvvisate baracche erette per ospitare gli sfollati. La pioggia incessante ha allagato il terreno, l’acqua è penetrata nel riparo e il gelo ha fatto il resto. Quando la madre, Hejar Abu Jazar, si è svegliata, la figlia non respirava più. «Quando ci siamo svegliati, abbiamo trovato la pioggia sopra di lei e il vento addosso. La bambina è morta di freddo all’improvviso. Non aveva nulla, stava bene. Oh, il fuoco nel mio cuore», ha raccontato in lacrime ai reporter di Reuters.
La morte di Rahaf non è un caso isolato ma un segnale drammatico della condizione in cui vivono centinaia di migliaia di palestinesi nei campi profughi del sud della Striscia. Secondo la Protezione Civile di Gaza, la tempesta ha allagato la maggior parte degli accampamenti, trasformando il suolo in fango, facendo crollare tende già precarie, distruggendo beni essenziali e lasciando gli sfollati completamente esposti al gelo. I soccorritori hanno ricevuto più di 2.500 richieste di aiuto in poche ore, molte provenienti da famiglie terrorizzate dall’acqua che saliva sotto i materassi o dalla furia del vento che scoperchiava teloni e travolgeva quel poco che era rimasto.
Il freddo, la fame, la mancanza di infrastrutture e la totale assenza di ripari adeguati stanno diventando una seconda guerra, silenziosa ma non meno letale. Le agenzie umanitarie avvertono che, senza un immediato intervento, i rischi legati all’ipotermia e alle infezioni respiratorie per bambini e neonati aumenteranno in modo esponenziale. L’inverno, in un territorio già frammentato e privo di servizi di base, può trasformarsi in un nemico implacabile.
La storia di Rahaf è una delle tante che non trovano spazio oltre le statistiche, ma che raccontano con crudezza ciò che accade quando un’intera popolazione è costretta a vivere sotto teloni, senza elettricità, senza riscaldamento, senza acqua potabile. Sono vite sospese nell’incertezza, vulnerabili a ogni minimo evento naturale, vittime di una catena di privazioni che si allunga di giorno in giorno. A Gaza si continua a soffrire e a morire, anche quando il cielo si abbatte sulle macerie e sulla disperazione di chi non ha più nulla con cui difendersi.