Un patrimonio archeologico indifeso e sconosciuto

Due giacimenti archeologici su tre presenti nel Lazio e in Puglia non sono censiti. Quasi tutti sono compromessi dall'incuria. L'allarme del Cnr.

Un patrimonio archeologico indifeso e sconosciuto
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13 Giugno 2012 - 18.41


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di Federico Tulli

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Altro che tesoro nascosto. Le ricchezze archeologiche non censite in due regioni particolarmente ricche di storia (Lazio e Puglia) sono oltre il 75 per cento del totale. Con picchi minimi e massimi che vanno dal 67 per cento della zona di Taranto al 94 per cento di Neviano in provincia di Lecce. I dati sono stati rilevati grazie all’indagine scientifica condotta dal Sit-Cnr (Sistema informativo territoriale del Consiglio nazionale delle ricerche) che ha impiegato metodologie e tecniche innovative dimostrando che il nostro suolo è uno scrigno di reperti di valore inestimabile quasi totalmente sconosciuti. Con grave danno sia culturale che economico.

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«I beni archeologici presenti sul nostro territorio mediamente sono conosciuti solo per il 10 per cento, anche per questo molti di essi rischiano una sistematica distruzione a causa di lavori agricoli, di urbanizzazione, scavi clandestini e fenomeni naturali» osserva Marcello Guaitoli, ricercatore dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Cnr (Ibam-Cnr) e docente all’università del Salento. «La perdita del patrimonio culturale – prosegue l’esperto ci costa circa un punto percentuale del Pil, calcolando il solo valore economico e non quello culturale, incalcolabile. Se adeguatamente conosciuto, conservato e tutelato, tale bene è una fonte inesauribile di reddito, in grado di muovere un indotto notevole in numerosi settori».

I dati del (Sit) raccolti attraverso le ricognizioni in sito condotte in Lazio e Puglia dal Cnr in sinergia con le università di Roma La Sapienza, Siena, Napoli e della Tuscia e con le strutture centrali e periferiche del ministero per i Beni e le attività culturali, sono stati al centro del convegno “I beni che perdiamo” organizzato alla sede centrale dell’Ente che si conclude oggi a Roma. Un confronto tra varie istituzioni sul rischio e sull’azione di salvaguardia di monumenti, centri storici, paesaggi e siti, anche alla luce degli ultimi eventi sismici. Nel corso dell’incontro, il Sit ha lanciato un vero e proprio Sos: «Nel territorio di Taranto, su un totale di 1.190 siti, ben 859 sono noti grazie alla ricognizione a tappeto, mentre le aree sottoposte a vincolo sono appena otto, quelle archiviate della Soprintendenza sono 63, e sono 331 quelle note dalla bibliografia, 44 delle quali sono scomparse». «Nulla in confronto a Ruvo in provincia di Bari – commenta Guaitoli – dove il 99 per cento dei siti segnalati non esiste più. Nel Salento le evidenze scoperte grazie alla ricerca sono il 77 per cento, pari a 3.166 sul totale delle 3.931 conosciute, a Capo Santa Maria di Leuca, 1.001 su 1.092. Il caso limite è Neviano, dove solo il 6 per cento delle aree archeologiche è presente in bibliografia».

Altrettanto critica la situazione nel Lazio. «Nel territorio di Viterbo l’87 per cento del conosciuto, 2.158 presenze, è frutto della mappatura. Nell’area a nord-ovest di Roma sono stati rintracciati 3.183 siti, il 55 per cento dei quali prima sconosciuti», prosegue il ricercatore Ibam-Cnr. «E anche qui emerge il dato sconfortante dei molti luoghi di interesse citati in fonti scritte oggi scomparsi: esemplare la via Prenestina, dove solo 245 su 856 presenze archeologiche rilevate nel 1970 sono scampate alle opere di urbanizzazione». La minaccia peggiore per il patrimonio culturale è costituita dai lavori agricoli, che incide nei danni da un minimo del 40 per cento (Neviano) fino all’87 per cento di Commenda (Vt); infrastrutture industriali e urbane, scavi clandestini e fenomeni naturali le altre cause. «Nel Salento sono state danneggiate 2.916 evidenze su 3.931; a nord ovest della Capitale 1.478 su 3.183; a Viterbo, 1.342 su 2.256 solo quelle compromesse dall’agricoltura», conclude Guaitoli. «Il Sit mostra situazioni critiche diversificate: beni conosciuti e vincolati ma privi di tutela diretta, altri esistenti ma ignoti e di conseguenza anch’essi non protetti. Un contributo sostanziale alla loro salvaguardia si deve al monitoraggio aereo e terrestre condotto da più di dieci anni dal Comando carabinieri tutela patrimonio culturale in collaborazione con il Cnr. Queste indagini hanno contribuito in modo sensibile alla repressione e alla riduzione degli interventi dolosi e permesso di scoprire un numero elevatissimo di evidenze sconosciute, in alcuni casi di rilevanza assoluta».

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